Lo studio Symbola-Cresme “La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano” ipotizza diversi scenari di spesa per unifamiliari e appartamenti
(Rinnovabili.it) – Secondo i dati Eurostat, nel 2022 considerando tutte le fonti energetiche, il 76,2% del fabbisogno energetico italiano è stato soddisfatto da importazioni. Si tratta della seconda peggiore performance tra i 27 Paesi europei. Purtroppo gran parte di questo fabbisogno in Italia è legato ai consumi domestici residenziali che nel 2022 sono stati pari a 29,3 Mtep con un costo relativo di 70,4 mld di euro (nel 2021 era stato di 47 mld di euro). In Italia un’abitazione di classe G paga una bolletta 10 volte superiore ad un’abitazione di classe A, un dato che fa ben comprendere l’esigenza di intervenire in maniera sistematica.
Dunque quanto sarebbe possibile risparmiare riqualificando il nostro patrimonio residenziale? E quanto ci costerebbe ristrutturare casa a seconda che si viva in una villetta o in un appartamento? Gli incentivi fiscali potrebbero essere il giusto veicolo?
Prova a rispondere a queste domande lo studio “Il valore dell’abitare. La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano”, realizzato da CRESME, Fondazione Symbola, Assimpredil Ance e European Climate Foundation. Il report immagina di intervenire sulle due principali tipologie edilizie del residenziale italiano, appartamento e villetta, con diverse soluzioni di riqualificazione energetica per assicurare il salto di due classi inizialmente previsto dalla revisione della Direttiva sulle performance energetiche degli edifici.
Quanto costerà riqualificare una villetta da 120 mq?
Scendendo di scala, lo studio prova a calcolare quale sarebbe la spesa a carico di ciascun proprietario in base alla tipologia edilizia della casa da ristrutturare, passando ad una classe D.
Il primo caso preso in esame ipotizza di ristrutturare una casa da 120 mq, unifamiliare, isolata, costruita tra il 1961 e il 1975 in muratura portante, il cui fabbisogno di energia primaria globale è pari a 731 kWh/mq anno.
Utilizzando il simulatore Docet di ENEA il costo di una riqualificazione sarebbe pari a:
- 19.000 euro (senza Iva) nel caso della sola sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale a biomasse. Tempi di ritorno dell’investimento pari a 9 anni.
- 55.420 euro (senza Iva) per l’installazione di una pompa di calore più un cappotto termico alle pareti. Tempi di ritorno dell’investimento pari a 9 anni.
- 85.803 euro (con Iva si arriva a 104.680) per l’installazione di un cappotto termico a pareti e copertura e la sostituzione dei serramenti. Tempi di ritorno dell’investimento pari a 13 anni.
Quanto costa ristrutturare un appartamento in condominio?
Quale sarebbe invece il costo per la riqualificazione energetica di un appartamento da 120 mq al 5° piano di un condominio di 8 piani composto da 32 unità e costruito tra il 1961 e il 1975 in cemento armato e laterizi?
Partendo da prestazioni energetiche molto basse, pari ad una spesa di 390 kWh/mq/anno e passando ad una classe D le spese sarebbero pari a:
- 23.600 euro (senza Iva) per l’installazione di una pompa di calore e serramenti nuovi.
- 48.464 euro (senza Iva) mentre l’intervento con cappotto termico alle pareti, sostituzione serramenti e caldaia a condensazione
Ma i condomini potrebbero ottenere un significativo vantaggio anche ricorrendo ad un’altra soluzione: la centrale termica centralizzata. Questa ipotesi permetterebbe di raggiungere un risparmio paragonabile agli interventi sopracitati, ma con costi decisamente più contenuti per i proprietari.
Si tratta della sostituzione del generatore di calore con una pompa di calore acqua-acqua alimentata da fonte geotermica a bassa entalpia. “Essendo alimentata da fonte rinnovabile”, cita il rapporto, “non presenterebbe problematiche di aggravio della rete elettrica e anzi, se l’edificio si dotasse di un impianto fotovoltaico e di batteria di accumulo elettrico, potrebbe addirittura produrre benefici in tal senso”.
In questo caso il costo medio per appartamento sarebbe di 19.000 euro compresa la quota per il fotovoltaico e per l’accumulo, con un tempo di ritorno, a parità di risparmio, del 18% migliore rispetto alla prima simulazione e del 60% migliore rispetto alla seconda.
Un Superbonus all’80%
Ovviamente dell’obbligo di ristrutturare casa non potranno farsi carico unicamente i proprietari e le famiglie, soprattutto se a reddito basso. Ecco perché lo studio, dopo un’attenta analisi dei trascorsi sugli incentivi fiscali per l’edilizia, ipotizza quale soluzione un Superbonus 80% con durata minima di 10 anni. L’incentivo dovrebbe favorire gli interventi con il miglior rapporto tra risparmio generato di combustibile fossile e costo di implementazione e che incentivi la scelta di soluzioni di indipendenza energetica, autoconsumo collettivo e capacità di fornire flessibilità alla rete elettrica.
Per assicurare la buona riuscita, secondo lo studio Symbola-Cresme, si dovranno prima avviare azioni finalizzate alla riduzione e al monitoraggio dei consumi energetici del settore residenziale, ovvero:
– diffondere del materiale informativo sulle buone pratiche per il risparmio energetico e la salubrità dell’aria degli ambienti interni, come fanno in Spagna, Francia e Germania;
– individuare gli edifici/unità immobiliari effettivamente (e non potenzialmente) più energivori dando incarico e formale autorizzazione (superando il problema della privacy) ad un Ente ad accedere alla lettura dei POD.
“La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano che l’Europa pone si gioca su due piani: da un lato l’ineludibile necessità di incentivi che aiutino il processo di riqualificazione calibrati su tempi più lunghi e dimensioni del sostegno più ragionevoli di quelle sperimentate in eccesso con il superbonus; dall’altro una maggiore attenzione alla qualità tecnica degli interventi e alla dimostrazione del miglioramento delle performance energetiche, tenendo conto delle diverse caratteristiche climatiche del nostro territorio. Se il problema sono i consumi, le emissioni e la dipendenza dall’estero, le soluzioni tecniche di qualità sono la risposta che giustifica anche gli incentivi”, conclude Lorenzo Bellicini, direttore CRESME.