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Dissesto idrogeologico: per prevenire le emergenze climatiche servono almeno 26 mld

Le risorse ci sono, ma le pratiche burocratiche richiedono più tempo della realizzazione stessa dell'opera di prevenzione del rischio idrogeologico. Secondo gli ingegneri manca programmazione e figure tecniche competenti

Rischio idrogeologico
Foto di LucyKaef da Pixabay

In Italia il 15% della popolazione totale vive in aree a rischio idrogeologico medio alto

(Rinnovabili.it) – Mettere in sicurezza il territorio italiano e prevenire il rischio idrogeologico richiederà un investimento di 26,58 miliardi di euro. A calcolare la cifra esatta ci hanno pensato gli ingegneri del Centro Studi CNI partendo dalle 7.811 richieste inviate dagli Enti Locali sulla piattaforma RENDIS (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo).

Una cifra che non deve sorprendere se si va ad analizzare la conformazione del territorio nazionale.

Ben 6,8 milioni di abitanti risiedono in aree a rischio alluvionale medio e 2,4 milioni vivono in zone alluvionali ad alto rischio: il 15% della popolazione nazionale.

E il numero di edifici costruiti nelle zone alluvionali ad alto e medio rischio sono 2,1 milioni.

Sono i dati che emergono dalla scheda tecnica sul dissesto idrogeologico stilata dal Centro Studi CNI, per avviare una discussione sulla prevenzione delle emergenze climatiche con la messa in sicurezza del territorio.

Per il breve periodo le risorse ci sono e sono sufficienti

Come mettono in evidenza gli ingegneri, negli ultimi 20 anni la spesa per interventi è stata pari a 6,6 mld di euro, con un totale di 6.063 interventi ed una spesa media poco superiore ai 300 mln di euro. Per mettere in sicurezza il territorio in modo efficace, si stima che servirebbero altri 8.000 interventi, con una spesa di poco inferiore ai 27 mld di euro.

A livello di risorse economiche, i soldi ci sono:

  • il Piano Nazionale di Mitigazione del Rischio Idrogeologico (ProteggItalia) ha messo in campo per il periodo 2019-2030 stanziamenti per 14,3 mld di euro, “parte dei quali destinati a opere emergenziali connesse ad eventi calamitosi, interventi di messa in sicurezza dei territori ed infrastrutture, interventi per la mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico”;
  • si aggiungono poi le risorse previste dal PNRR pari a 2,4 mld di euro per “Misure per la gestione del rischio alluvionale e per la riduzione del rischio idrogeologico” nell’ambito della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”

Serve un cambio di passo nella programmazione e serve il rafforzamento della capacità degli Enti locali di avviare rapidamente cantieri per la messa in sicurezza del territorio”, afferma Giuseppe Maria Margiotta, Presidente del Centro Studi CNI. “Va detto, inoltre, che i gravi eventi che hanno di recente colpito l’Emilia-Romagna devono spingere tutti, in primis noi tecnici, a cambiare prospettiva. Nel dibattito tecnico ed in quello relativo alla programmazione di interventi di contrasto del rischio idrogeologico deve essere presa in considerazione una variabile che molti fanno finta di non vedere o con cui preferiscono non confrontarsi, ovvero quella del cambiamento climatico che sta generando eventi estremi come quelli degli ultimi giorni. Dobbiamo essere coscienti che gli interventi di prevenzione, in particolare quelli legati al rischio idraulico, devono passare ad una sorta di livello 2.0, ovvero un upgrading degli standard a cui fino ad oggi si è fatto riferimento, che non saranno più sufficienti a fronteggiare situazioni finora poco conosciute”.

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Quali sono le criticità

Secondo il Centro Studi CNI le criticità sono da cercare altrove. Intanto bisogna tenere conto che il “fronte” del dissesto idrogeologico è estremamente diffuso su tutto il territorio, vale a dire che servirebbe un’opera continua e capillare che agisca ad esempio sui rinforzi spondali, su corsi d’acqua, sulla manutenzione della aree abbandonate, sulle golene. Insomma, un’attività di monitoraggio, progettazione ed intervento che non può essere realizzata in tempi brevi.

Esistono poi degli elementi legati alla programmazione che non facilitano la messa in sicurezza del territorio. Basti pensare che la durata media delle opere è di 4,8 anni, e quasi la metà del tempo si perde in autorizzazioni, pratiche amministrative e “tempi morti”.

Inoltre c’è poi il tema del consumo del suolo che accentua l’impermeabilizzazione del territorio facilitando gli allagamenti. In Italia il 7,13% della superficie totale del suolo ha una copertura artificiale, a fronte di una media del 4% in Europa.

Contro il dissesto idrogeologico – afferma Angelo Domenico Perrini, Presidente del CNI – serve agire in fretta rimodulando i meccanismi di gestione dei Piani di prevenzione e contrasto oggi esistenti. Non servono solo risorse finanziarie più consistenti del plafond di 16 miliardi oggi disponibili, ma un sistema più snello di gestione non tanto delle emergenze quanto degli interventi di prevenzione”. Già nel 2021 la stessa Corte dei Conti, individuò gli elementi di debolezza del sistema di intervento contro il rischio idrogeologico. “Paradossalmente oggi disponiamo di un livello approfondito di conoscenza di dove e come intervenire, ma siamo troppo concentrati nel far fronte a casi emergenziali senza riuscire a porre in essere in modo capillare opere di prevenzione, che limiterebbero di molto i danni in caso di catastrofi”, prosegue Perrini che sottolinea poi la lacunosa manutenzione del territorio e le farraginose norme e procedure di attuazione di misure di prevenzione.

Talvolta sono più lunghi i tempi burocratici della stessa realizzazione delle opere di prevenzione del rischio idrogeologico, un paradosso sconcertante.

Focalizzarsi sul reperimento di risorse finanziarie in questo momento rischia di essere fuorviante, in quanto andrebbero radicalmente rimodulati la programmazione delle opere di prevenzione e le modalità di gestione delle stesse”.

Scarica qui la “Scheda dati Centro Studi CNI -Contro il dissesto idrogeologico servono 26 miliardi di euro”.