Ing. Vaudano: “Qualsiasi progettista oggi non può esimersi dal domandarsi quale sarà il reale impatto che quel manufatto avrà in campo energetico, sul suolo e sulla comunità”
(Rinnovabili.it) – I due giorni della convention Roma Innovation Hub 2024 si sono appena conclusi, ma il dibattito sulle tematiche discusse e legate agli obiettivi di decarbonizzazione e sostenibilità contenuti nell’Agenda 2030, proseguiranno nel tempo. Tra le professioni tecniche protagoniste dell’evento, l’Ordine Nazionale degli Ingegneri riveste senza dubbio un ruolo centrale in vista dei prossimi passi che si dovranno compiere a favore di un efficientamento energetico massiccio del patrimonio edilizio. Ma la strada è tutta in salita e gli scalini da salire sono molti. Dunque come arrivare preparati al 2030? Lo abbiamo chiesto in occasione di Roma Innovation Hub 2024 all’Ingegner Remo Giulio Vaudano, Vice Presidente Vicario del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
Ingegner Vaudano, partendo dall’obiettivo dell’evento, ovvero definire una strategia di azioni comuni tra i professionisti tecnici che ci permettano di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 in termini di sostenibilità ed efficientamento energetico, quali sono a vostro avviso le tematiche principali da affrontare?
In realtà tutte, perché sono estremamente interfacciate tra loro, dunque è difficile dare delle priorità. Quando si parla di sostenibilità non ci si riferisce solo a quella ambientale, ma anche ad una sostenibilità sociale e della parità di genere, tutte componenti legate tra loro. E’ proprio in quest’ottica che si inserisce l’Agenda 2030 che, a mio parere, è stata fatta con criterio.
Sono stati inseriti i contenuti con una logica completa. Ovviamente ci sono, però, dei temi che nell’immediato appaiono più vicini, soprattutto a noi ingegneri. Mi riferisco a tutta la parte riguardante l’energia e la sostenibilità in edilizia, contenuti che rimangono comunque legati alla logica d’insieme. Se non si comprende questa connessione, questa interdisciplinarità del sistema, significa che non si è compreso realmente l’obiettivo dell’Agenda 2030.
Quale sarà il ruolo che giocheranno gli Ingegneri e quali sono le proposte che avete condiviso con gli altri professionisti presenti all’evento?
Noi svolgiamo un’attività che, il nostro Paese, ha ritenuto di importanza tale da inserirla all’interno di norme precise che la regolano. Mi spiego meglio: per fare il nostro mestiere bisogna avere non solo una preparazione scolastica di livello superiore, ma bisogna risultare iscritti ad un albo Nazionale istituito appositamente per controllare coloro che esercitano questo mestiere. Gli Ordini sono degli Enti pubblici che verificano che, chi svolge la professione in questo caso l’Ingegnere, ne abbia i titoli e allo stesso tempo che detenga un comportamento deontologico tale da poter assicurare alla collettività che quel soggetto ha le capacità di svolgere quella professione.
Questo concetto per noi ha una funzione sociale. Di fatto le professioni ordinistiche derivano tutte dai Diritti fondamentali che la Costituzione fornisce ai cittadini: diritto alla salute, diritto alla difesa e diritto alla sicurezza. Nell’ambito di quest’ultima si inserisce anche il lavoro degli Ingegneri, perché la collettività, nel momento in cui utilizza un edificio, un mezzo di trasporto, un’infrastruttura, ma anche semplicemente uno smartphone, deve essere certa che quell’elemento è sicuro sempre e non solo agli scopi per cui è stato ideato.
Di conseguenza, le professioni tecniche tra le quali anche gli Ingegneri, ricoprono anche una dimensione sociale. Ecco perché siamo molto interessati all’Agenda 2030.
Entrando nel dettaglio del settore dell’Energia e dell’impiantistica, riteniamo questo concetti fondamentali al punto da averli inseriti all’interno delle nostre norme deontologiche, norme che ricordo danno obblighi in più rispetto alle leggi dello Stato. Nel nostro codice deontologico abbiamo infatti introdotto dei richiami a quelli che sono i risparmi energetici e la sostenibilità ambientale in edilizia. Qualsiasi progettista oggi non può esimersi dal domandarsi quale sarà il reale impatto che quel manufatto avrà in campo energetico, sull’efficientamento energetico, ma anche in termini di consumo di suolo, ed a livello sociale e di beneficio per la comunità stessa, fino ad arrivare al suo smaltimento ed ai materiali stessi utilizzati per la sua costruzione.
Oltre a questo abbiamo l’obbligo morale, non solo normativo, di applicare il massimo delle nostre conoscenze ingegneristiche per ottenere edifici che consumano meno e sistemi impiantistici che funzionano al massimo delle loro potenzialità. Lo riteniamo un obbligo morale.
Scendendo di scala, gli Obiettivi dell’Agenda 2030 si sommano a quanto ci verrà richiesto nei prossimi anni dalle nuove Direttivie Europee in termini di efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Come sarà possibile raggiungere un risanamento profondo del patrimonio immobiliare e chi dovrà farsi carico di questa responsabilità?
Noi su questo abbiamo un’idea. In Italia abbiamo un patrimonio edilizio molto particolare composto da molteplici edifici storici di valenza culturale ed artistica, ma allo stesso tempo anche un patrimonio fatto di edifici “vecchi”, ovvero storici ma senza reale validità qualitativa. E infine abbiamo tutta una parte di costruito che appartiene ad un’epoca in cui c’erano esigenze diverse, volutamente non dico se costruito bene o male, ma semplicemente appartiene ad un momento storico differente. Ad esempio a Torino, abbiamo un patrimonio edilizio del dopoguerra, soprattutto degli anni ‘50, realizzato con criteri che potremmo definire spartani, perché l’obiettivo principale era quello di riuscire a “dare una casa” a tutto un fenomeno di immigrazione massiccia. Allo stesso tempo, in altre zone del Paese, l’esigenza era ad esempio quella di ricostruire il tessuto edilizio danneggiato dalla guerra.
Si tratta di due tipologie differenti di patrimonio storico, quello artistico e quello vecchio, che generano problemi differenti: mentre quello storico artistico andrà preservato, quello obsoleto dovrà essere adeguato ad una serie di standard costruttivi e qualitativi completamente trasformati nel tempo. Di fatto i più energivori sono proprio quegli edifici costruiti a fine anni ‘50 e ‘60, ovvero realizzati prima ancora delle norme energetiche redatte solo a fine anni ‘70.
Chiarite queste dovute premesse, secondo noi ingegneri sarà impossibile mantenere gli obiettivi temporali di efficientamento stabiliti, pensando che questi possano essere raggiunti con gli sforzi economici solo dei privati o solo del pubblico. Perché entrambi non potranno permetterselo economicamente e non sarebbe nemmeno corretto arrivare ad imporlo.
Quindi noi dovremmo mantenere sicuramente una serie di incentivazioni sotto forma di detrazioni fiscali, che esistono a livello internazionale e non solo in Italia. Dimensionati in maniera corretta e volutamente non parlo di percentuali, ma basati su una stima economica, che deve fare l’attività normativa sulla base delle disponibilità annuali. Allo stesso tempo sarà poi necessario capire come colmare il divario tra investimento e disponibilità economica, sia per coloro che non hanno capienza fiscale, ma anche per coloro che non possono permetterselo, mettendo in campo ad esempio mutui agevolati.
Il contributo dovrà perciò essere sia privato che pubblico.
Quali saranno i prossimi passi da compiere?
C’è un’esigenza da affrontare prima ancora di agire, un’esigenza che noi ingegneri riteniamo essenziale e che abbiamo condiviso a Roma Innovation Hub 2024: conoscere realmente lo stato del patrimonio edilizio del nostro Paese attraverso dati concreti.
Nei prossimi anni dovremo affrontare una massiccia riqualificazione del patrimonio edilizio nel rispetto di quanto ci chiede la Direttiva EPBD, Energy Performance of Buildings Directive. Una direttiva scritta estremamente bene e che fornisce principi validissimi e chiari che però andranno declinati e tradotti in norme operative nazionali. Per raggiungere questi obiettivi dovremo fare una programmazione, ma questo sarà possibile solo se avremo dei dati di partenza sullo stato attuale del nostro patrimonio immobiliare. Dati concreti che permettano di elaborare delle stime reali e non fittizie, ma che al momento non possediamo. Abbiamo i dati del Superbonus che però non sono completi; abbiamo le preziose stime energetiche di ENEA, ma che si riferiscono solo agli edifici in locazione e purtroppo, non sempre sono attendibili in merito alla classe energetica; insomma possediamo sempre informazioni frammentate e marginali.
Bisognerebbe invece partire con una campagna di raccolta dei dati che ci permetta di arrivare ad avere stime reali delle condizioni del patrimonio edilizio italiano. Se non diamo delle condizioni a contorno precise, non potremo mai fare una seria programmazione.
La mia più grossa preoccupazione è quella di arrivare agli ultimi anni a ridosso delle scadenze degli obiettivi dell’Agenda 2030, ma anche di quelli della Direttiva EPBD, senza nulla di concreto, arrivando all’emanazione di misure “emergenziali” che non potranno certamente essere un aiuto. Ciò che ci serve sono invece misure strutturali, inquadrate in un quadro di tempo logico, solo in questo modo eviteremo i problemi che tutti conosciamo come l’aumento del costo dei materiali o la carenza di manodopera.
L’unica direzione da prendere è questa: la ricerca dei dati ed il loro approfondimento, e successivamente l’impostazione di programmi strutturali corredati da un piano di incentivazione che perduri nel tempo.
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