La Convention Nazionale delle Professioni tecniche Roma Innovation Hub 2024 ha coinvolto i nove ordini nazionali parte della RPT
(Rinnovabili.it) – Sono le Città e Comunità Sostenibili le protagoniste della seconda giornata di appuntamenti in programma all’evento Roma Innovation Hub, la Convention Nazionale delle Professioni tecniche evento di confronto tra i professionisti della progettazione, le istituzioni e il Governo, sulle priorità in materia di innovazione del Paese. Tema centrale di questa edizione 2024 è l‘Agenda 2030, sulla quale i nove ordini professionali presenti (Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, Chimici e Fisici, Dottori Agronomi e Dottori Forestali, Geologi, Geometri e Geometri Laureati, Ingegneri, Periti Agrari e Periti Agrari Laureati, Periti Industriali e Periti Industriali Laureati e Tecnologi Alimentari), hanno focalizzato l’attenzione con l’obiettivo di tracciare una strategia condivisa che permetta di raggiungere gli sfidanti obiettivi europei in termini di sostenibilità, digitalizzazione e decarbonizzazione.
Ad aprire i lavori di oggi è il Goal 11 dell’Agenda 2030 “Città e comunità sostenibili”, che ha coinvolto sul palco numerosi rappresentati dei professionisti tecniche, in una Tavola Rotonda dedicata al complesso e ricco tema della qualità del vivere urbano visto in un’ottica di decarbonizzazione.
Le sei proposte dell’ASviS sul verde urbano
Ad inquadrare il tema cruciale del primo panel della seconda giornata di Roma Innovation Hub è Silvia Brini, Co-Coordinatrice del Gruppo di Lavoro dell’ASviS dedicato proprio al Goal 11 di Agenda 2030. Questo intervento ha permesso di fare luce sui molteplici target che concorrono a determinare la qualità delle Città e Comunità sostenibili: partendo dall’urbanistica fino ad arrivare alla qualità dell’aria, passando dalla riduzione nella produzione dei rifiuti fino al ruolo del verde urbano. Quest’ultimo ingrediente è anche l’attore principale di una importante ricorrenza celebratasi lo scorso anno, ovvero la nascita della Legge 10 del 2013 sulla regolamentazione degli Spazi Verdi Urbani.
“Grazie ad un sottogruppo di esperti abbiamo provato ad analizzare l’applicazione della Legge a 10 anni dalla sua nascita, valutandone l’efficacia e giungendo ad una serie di stimoli e proposte”, esordisce Silvia Brini facendo riferimento all’interessate Position paper prodotto a valle del lavoro condotto dal Gdl 11 dell’ASviS. “Confrontando i dati con i report ISTAT si nota un trend positivo degli ultimi anni, legato ad esempio all’aumento del verde pro capite a disposizione dei cittadini o al moltiplicarsi di interventi di educazione e promozione sulla biodiversità. Tuttavia non si tratta di dati eccezionali”, sottolinea Brini, portando poi alla luce quella che è la principale mancanza della legge stessa. “Manca una visione a lungo termine per quanto riguarda il capitale naturale a scala locale; in Italia infatti solo l’8% delle grandi Città ha un piano del verde”.
Ma la soluzione esiste ed è stata messa nero su bianco nello stesso position paper dell’Alleanza. Il primo fattore su cui intervenire è la trasformazione del Piano del Verde urbano da uno strumento di pianificazione volontario ad uno strumento obbligatorio. In questo modo sarebbe possibile agire anche sulle successive sei proposte raccolte da AsviS in tema di Verde Urbano ed oggi sottolineate in occasione di Roma Innovation Hub. Le proposte sono:
- rinforzare la legge 10 dandone piena attuazione attraverso i Decreti dei Ministeri competenti;
- lanciare una campagna di educazione e sensibilizzazione pubblica sul valore della natura in città;
- dare carattere di obbligatorietà e cogenza ai Piani comunali del verde urbano;
- approvare una norma di legge per il conseguimento dell’obiettivo di azzeramento del consumo netto di suolo;
- utilizzare le aree di proprietà pubblica, locale e nazionale, come volano principale per incrementare le infrastrutture verdi nelle città;
- definire modelli di governance multilivello e meccanismi innovativi per la pianificazione e gestione delle aree verdi urbane ed extraurbane.
Dal verde urbano al problema dei rifiuti
L’intervento della dottoressa Silvia Brini ha introdotto quanto si è poi discusso nella Tavola Rotonda dedicata al Goal 11 di Agenda 2030, durante la convention Roma Innovation Hub, durante la quale hanno preso la parola i rappresentanti di numerosi ordini professionali tecnici, a dimostrazione che, una transizione verde, è possibile solo mettendo a sistema tutte le competenze tecniche in nostro possesso.
“Serve un lavoro collettivo come quello di oggi per arrivare ad avere delle città dove si possa vivere e sopravvivere”, sottolinea Barbara Negroni, Consigliere Nazionale dell’ordine dei Dottori Agronimi e dei Dottori Forestali, che passa poi a considerare l’infrastruttura verde quale soluzione fondamentale per far sì che questo avvenga. “Si tratta di intervenire con azioni importanti ad opera di ciascun professionista, sia pubblico che privato, mettendo in campo competenze tecniche e tecnologie ragionate nel medio e lungo termine, per agire e prevenire gli effetti del cambiamento climatico”.
Un approccio possibile solo agendo concretamente sul territorio ed intervenendo sui fattori che hanno maggior peso nella transizione ecologica. Uno fra tutti è certamente il tema dei rifiuti, un elemento che se mal gestito può trasformarsi in una vera e propria bomba ad orologeria.
“A livello di città sicuramente il problema dei rifiuti è forse uno dei temi cruciali dopo quello sociale, sia per l’impatto ambientale che per quello economico”, illustra Pasquale Aru, del Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati. “Secondo i dati dell’ISPRA, in Italia nel 2021 abbiamo raggiunto il 65.16% di raccolta differenziata. Un obiettivo che avremmo dovuto raggiungere nel 2012”. Ancora molto evidenti le disparità tra Nord, Centro e Sud, tra i quali è solo il nord ha superare in percentuale la media nazionale. “Ancora oggi 7 regioni su 20 non raggiungono l’obiettivo minimo. Tra le più virtuose spiccano il Veneto seguito dalla Sardegna”. Il problema potrebbe essere risolto seguendo molteplici strada. “La ricerca tecnologica è sicuramente uno dei primi fattori da prendere in considerazione”, prosegue il Consigliere Nazionale Aru che passa poi ad evidenziare come interventi studiati e pianificati attentamente per favorire lo sviluppo della città, possano rivelarsi un elemento di valore aggiunto per la comunità stessa, come accaduto nel caso del termovalorizzatore di Copenhagen.
L’importanza della pianificazione dello spazio urbano
Rimanendo in tema di pianificazione urbana, il panel di Roma Innovation Hub dedicato al Goal 11 “Città e Comunità Sostenibili” di Agenda 2030, si è poi spostato sul cruciale fenomeno del consumo di suolo. “Oggi dobbiamo imparare a progettare la città sostenibile dentro la città esistente”, afferma Vittorio Emanuele Bianchi, ospite della Tavola Rotonda e Presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica dell’Emilia Romagna. “Nell’urbanistica questo concetto ha una risposta tecnica ovvero la rigenerazione urbana. Cioè riutilizzare le aree dismesse ed i suoli degradati dando nuovo uso agli spazi esistenti”. Assicurare il successo di questo processo è però possibile solo intervenendo in maniera coordinata su tutto il territorio nazionale attraverso una legislazione appropriata. Come sottolineato da Bianchi, un esempio concreto arriva proprio da una recente legge regionale dell’Emilia Romagna, nata e costruita sui Goal dell’Agenda 2030, che pone come imperativo il porre un limite al consumo di suolo. “E’ la prima legge italiana che determina la decadenza dei diritti edificatori non utilizzati dai proprietari, risolvendo un problema annoso che è quello del ‘residuo’ dei piani di espansione. Le aree inutilizzate tornano ad essere aricole. Inoltre, la legge regionale chiede ai Comuni un’altra cosa estremamente importante: operare con un pensiero strategico mettondo la qualità urbana come elemento centrale”.
Reinventare gli spazi della città è dunque un approccio complesso nel quale concorrono moltissimi fattori che spaziano dalla rigenerazione urbana alla salvaguardia del patrimonio storico culturale, dall’efficietamento energetico alla biodiversità, dalla gestione dei rifiuti fino alle strategie di lotta al cambiamento climatico.
Come “sopravvivere” nelle città migliorando la salute degli edifici
Dall’urbanistica all’edilizia. I professionisti tecnici protagonisti di questi due giorni di convention al Roma Innovation Hub dedicati al tema della decarbonizzazione e della sostenibilità secondo gli obiettivi dell’Agenda 2030, non tralasciano nulla. Città e comunità sostenibili non possono esistere senza un patrimonio edilizio sicuro, efficiente e salubre. Quest’ultimo aggettivo sembra non essere pianamente compreso dal nostro Paese che, ancora oggi, stenta a riconoscere la qualità dell’aria indoor quale fattore determinante del benessere dei cittadini. E’ quanto afferma Gaetano Settimo, Ricercatore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS.
“La grande maggioranza dell’esposizione ai grandi inquinanti atmosferici avviene all’interno degli edifici della città, questo perchè è qui che trascorriamo la maggioranza del nostro tempo”. “Il nostro Paese ha grande difficoltà ad agire, perchè ha sempre separato la qualità dell’aria indoor dai fattori inquinanti atmosferici, ma l’aria che respiriamo è unica”.
Per raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione tuttavia è necessario tenere in considerazione molteplici fattori, anche quelli che determinano la qualità del nostro abitare. “I professionisti diventando dunque decisivi per creare un nuovo ‘stato di salute’ della popolazione”, ribadisce Settimo, riferendosi all’importante ruolo che i tecnici possono giocare per migliorare le condizioni abitative.
Un ruolo più che mai decisivo per i prossimi anni, in considerazione delle richieste europee anche in termini di efficienza energetica del patrimonio edilizio.
“Vivere la città non significa necessariamente vivere bene”, prosegue Antonio Scaglione, Presidente del Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati di Roma invitato alla Tavola Rotonda. “Le città occupano il 3% della superficie terrestre e sono causa del 70% della emissioni globale di anidride carbonica. Il punto di partenza è dunque lo stop al consumo del suolo, un fattore non può prescindere dalla riqualificazione del tessuto edilizio esistente”.
Tema per altro al centro dell’attuale dibattito europeo inerente la revisione delle Direttiva EPBD sulle Prestazioni energetiche degli edifici. “Un edificio green è un immobile che riduce al minimo il suo impatto agendo sui consumi energetici, idrici e sulle emissioni”. “Ma dobbiamo fare i conti con la realtà. In Italia gli edifici più energivori in classe G sono circa il 15% dei fabbricati esistenti, che ammontano ad 1,8 milioni di immobili. La spesa prevista per una prima fase di adeguamento ammonterebbe a 420.000 miliardi di euro”. Positive dunque, secondo Antonio Scaglione, le recenti modifiche apportate al testo della Direttiva Case Green che ha concesso maggiore flessibilità d’azione ai singoli Stati Membri.
A valle delle diverse osservazioni portate alla luce dal Panel presentato a Roma Innovation Hub e dedicato alle Città e Comunità sostenibili, emerge una domanda su tutte.
Come raggiungere dunque gli ambiziosi obiettivi di efficientamento proposti dall’Agenda 2030? Secondo i protagonisti dell’evento romano la risposta sta nella collaborazione tra le professioni. Solo generando una sinergia di intenti ed una rete che coinvolga tutte le professioni tecniche, sia pubbliche che private, si arriverà ad ottenere Città Sostenibili.