Ogni anno vengono utilizzate oltre 25 miliardi tonnellate di calcestruzzo a livello globale
(Rinnovabili.it) – Geopolimeri rinforzati con fibre naturali rinnovabili e sabbia prodotto con gli scarti industriali, potrebbe essere questa la ricetta per il calcestruzzo sostenibile.
A condurre la ricerca su uno dei materiali più impattanti dal punto di vista ambientale ed energetico, sono gli ingegneri della Flinders University in Australia. Guidati da Aliakbar Gholampour e con il supporto esterno di esperti degli Stati Uniti e della Turchia, i ricercatori hanno provato a sostituire ai materiali di rinforzo sintetici comunemente usati nella produzione di calcestruzzo, fibre naturali o residui di lavorazioni diverse.
Il cls convenzionale ha un impatto devastante sull’ambiente. Essendo il materiale più utilizzato nelle costruzioni, con un utilizzo di circa 25 miliardi di tonnellate l’anno, il calcestruzzo consuma il 30% delle risorse naturali non rinnovabili ed emette circa l’8% dei gas serra. Oltre a rappresentare quasi la metà degli scarti edilizi che finiscono in discarica.
“Con il calcestruzzo, non solo possiamo riciclare enormi volumi di sottoprodotti industriali e materiali di scarto, compresi gli aggregati di calcestruzzo, per migliorare le proprietà meccaniche e di durabilità del calcestruzzo, ma anche utilizzare fibre naturali ecologiche alternative che altrimenti non verrebbero utilizzate in modo costruttivo”, afferma il dottor Gholampour.
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Calcestruzzo sostenibile grazie a leganti e aggregati realizzati con scarti industriali
Lo studio ha dimostrato che, sostituendo alla comune sabbia di fiume dei geopolimeri che utilizzano sabbia di vetro di scarto, il calcestruzzo sostenibile prodotto ha una resistenza superiore e un minore assorbimento d’acqua. Sfruttando invece geopolimeri a base di scorie di fusione di piombo, il cls mostra un ritiro per essiccazione inferiore rispetto al calcestruzzo tradizionale.
Nuova vita alle Fibre naturali
Oltre a modificare la composizione della sabbia, il team di ricerca australiano ha provato ad introdurre nella miscela degli aggreganti alcune fibre naturali, altrimenti sottoutilizzate come il ramiè, sisal, canapa, fibra di cocco, iuta e bambù. Inserendo nei geopolimeri l’1% di fibre di ramiè, canapa e bambù più un 2% di fibre di ramè come aggregati fini, si è notata una maggiore resistenza alla compressione e alla trazione e una contrazione per essiccazione inferiore rispetto ai geopolimeri non rinforzati. Mentre con quelli contenenti l’1% di fibra di ramiè si è ottenuta la massima resistenza e la più bassa essiccazione di restringimento.
“Questa ricerca cercherà anche di progettare miscele di aggregati grossolani riciclati e altri tipi di fibre cellulosiche, inclusa la carta ad acqua, per diverse applicazioni edili. Abbiamo anche in programma di studiare la loro applicazione nella stampa 3D delle costruzioni per il futuro“.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Construction and Building Materials.
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