Secondo uno studio condotto dalla KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, la norma europea sottostima di un terzo la durata di vita utile delle strutture in cls prefabbricato, impedendo un efficace riciclo del calcestruzzo. In altre parole, molti dei materiali edilizi che finiscono in discarica perchè considerati ormai giunti a fine vita, in realtà potrebbero essere recuperati, abbattendo di non poco le emissioni legate al comparto delle costruzioni.
Entro il 2050 il consumo di calcestruzzo raddoppierà
Il calcestruzzo è il materiale più consumato al mondo subito dopo l’acqua. I materiali da costruzione e gli edifici rappresentano l’11% delle emissioni di gas serra totali, di cui circa l’8% deriva proprio dalla produzione e dall’utilizzo di cemento e calcestruzzo. Le stime però prevedono che la necessità di calcestruzzo raddoppierà entro il 2050, una tendenza che ci impone inevitabilmente di trovare soluzioni alternative.
Le strategie più conosciute che puntano a rendere il calcestruzzo più sostenibile e a ridurre la sua impronta di carbonio sono diverse: l’ottimizzazione della miscela di calcestruzzo sostituendo parte del cemento Portland con materiali cementizi supplementari, il passaggio a combustibili più puliti per la sua produzione, l’implementazione della cattura e dello stoccaggio del carbonio (CCS), l’ottimizzazione della geometria e della progettazione delle strutture in calcestruzzo, fino ad arrivare al prolungamento della loro durata utile.
Il riciclo del calcestruzzo e degli elementi strutturali di un edificio però stentano a diventare una pratica comune, rallentando un processo di economia circolare che invece potrebbe fare la differenza a livello emissivo.
La norma europea sovrastima la carbonatazione del cls
Al momento, la maggior parte del materiale proveniente dalle strutture in calcestruzzo smantellate viene frantumato e riutilizzato nelle basi stradali o come aggregato nel nuovo calcestruzzo. Ma come mai non si scelgono percorsi più virtuosi di riciclo? Secondo i risultati dello studio la colpa è in parte da attribuire ad una errata quantificazione dei livelli di carbonatazione nella norma europea. Le strutture in calcestruzzo esposte all’ossigeno e all’acqua assorbono CO2 durante la loro vita utile attraverso la carbonatazione naturale trasformando il cls in un “pozzo di carbonio”. A definire la durata di vita utile degli elementi di cls è infatti la norma EN 16757.Alla base della decisione è la velocità di carbonatazione del materiale, ovvero quel fenomeno che determina una corrosione della struttura che nel peggiore dei casi arriva ad intaccare anche le armature provocando l’ossidazione.
Sfruttando un flusso di lavoro digitale, i ricercatori si sono però accorti dell’inesattezza di questi dati. La carbonatazione di una struttura in calcestruzzo prefabbricato definita dalla norma, è stata messa a confronto con la reale carbonatazione di un edificio studio e con le previsioni basate su un campione rappresentativo. I risultati hanno mostrato una corrosione reale del cls inferiore di un terzo rispetto a quanto indicato dalla norma europea. “Abbiamo scoperto che le previsioni di durata utile in base ai tassi di carbonatazione in EN 16757 potrebbero impedire il riutilizzo, poiché si prevedeva che la carbonatazione raggiungesse le barre di armatura entro la durata utile di un caso di studio, al più presto 23 anni dopo la costruzione”.
Alla luce di questa scoperta, molti degli elementi che oggi finiscono in discarica potrebbero invece essere riutilizzati per la costruzione di strutture simili.
Un flusso di lavoro digitale per valutare il tasso di riciclo del calcestruzzo
Decostruendo e riassemblando elementi prefabbricati in una nuova struttura, è possibile preservare la loro funzione iniziale, consentendo la circolarità al suo massimo valore.
Tuttavia riutilizzare al meglio le strutture e gli elementi costruttivi implica una catalogazione a monte di tutti i componenti. Lo studio suggerisce che questo processo dovrebbe iniziare prima della decostruzione, catalogando gli elementi esistenti e correlandoli poi ai progetti futuri, attraverso l’uso del BIM. QUesta integrazione facilita il processo di riciclo del calcestruzzo e soprattutto, assicura il rispetto degli standard di sicurezza prevedendo quale sia realmente il tasso di vita utile di un determinato edificio.
Lo studio “A digital workflow for assessing lifespan, carbonation, and embodied carbon of reusing concrete in buildings” è stato pubblicato sulla rivista ScienceDirect.