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Prevenzione sismica, in Italia 18 milioni di immobili a rischio

Prevenzione sismica, in Italia 18 milioni di immobili a rischio
via depositphotos.com

Un piano da 10 anni con una dotazione iniziale di 250 milioni di euro. Sono i primi numeri annunciati dal Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, in merito al Piano Nazionale per la Prevenzione Sismica. L’obiettivo sarà quello di replicare la cifra iniziale ogni anno, per garantire che la prevenzione strutturale rimanga una priorità anche per le infrastrutture pubbliche. E’ proprio il caso di affidarsi al motto “prevenire è meglio che curare” considerando che, dal 1968 (Terremoto del Belice) la nostra Penisola ha speso circa 130 miliardi di euro per la ricostruzione.

Il Costo dei Terremoti

Il Piano annunciato in occasione della Giornata Nazionale della Prevenzione Sismica privilegia le zone più a rischio, intervenendo innanzitutto sugli edifici pubblici quali scuole, ospedali, e strutture strategiche. “E per gli edifici privati, chiediamo l’intervento dell’UE”, sottolinea il Ministro.

I costi indiretti legati ai Terremoti sono incredibilmente elevati. Prendendo in esame i 3 eventi sismici estremamente distruttivi, Valle del Belice, Friuli Venezia Giulia e Irpinia, e per ciascuno analizzando 4 parametri: 

è possibile notare come le “ferite aperte dai sismi” vadano ben oltre i danni riscontrabili nell’immediato. Gli effetti compromettono il tessuto economico dei territori colpiti penalizzandone la crescita per gli anni a venire.

L’analisi mostrata in occasione della Giornata Nazionale della Prevenzione sismica mostra come il PIL dei comuni colpiti dagli eventi sia in calo per tutte le zone, Belice -2,8% e Irpinia -12%. 

In Friuli invece, dove il cosidetto “building back better”, ovvero l’ammodernamento post ricostruzione consentì il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale, il PIL è aumentato del 20%. 

Ma il Sisma agisce anche sull’occupazione. Nel Belice e in Irpinia il tasso di disoccupazione è arrivato rispettivamente a 25,50% e 27,30%, ben oltre la media italiana oggi stimata al 5,8% (fatta eccezione per il Friuli che si attesta su 4,6%). 

Ben 18 milioni di edifici residenziali a rischio

Oggi in Italia gli edifici ad uso residenziale a rischio sismico sono circa 18 milioni. Strutture che necessiterebbero di manutenzione immediata e che richiederebbero una spesa di ben 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus

Stiamo parlando di poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il patrimonio immobiliare, mitigando gli effetti indiretti che l’evento sismico potrebbe portare con sé.

“Si intuisce che sarebbe più opportuno mitigare e prevenire, intervenendo almeno sulla quota parte di costruito più ad alto rischio (per criticità nello stato di conservazione e sicurezza statica o per localizzazione nelle zone a più elevata probabilità sismica) – commenta il presidente della Fondazione Inarcassa, Andrea De Maio un Piano nazionale di prevenzione sismica di carattere ordinamentale può rappresentare un primo importante e innovativo passo, al quale occorre affiancare azioni di lungo periodo che, necessariamente, devono partire dalla conoscenza dello status del patrimonio immobiliare e prevedere finanziamenti costanti nel tempo per affrontare, adeguatamente, la sfida della Prevenzione sismica in questo Paese”.

20 miliardi andranno spesi da qui al 2047

Dal Terremoto della Valle del Belice nel 1968 ad oggi, lo Stato italiano ha stanziato oltre 135 miliardi di euro, di cui 20 miliardi andranno spesi da qui al 2047, per far fronte ai danni provocati dagli 8 terremoti distruttivi che hanno colpito la penisola negli ultimi 60 anni. 

Oggi, circa 12 milioni di edifici residenziali italiani (57% del totale) sono stati costruiti prima del 1971, mentre solo il 3% del totale risulta post 2008, ovvero anno in cui le norme tecniche per le costruzioni hanno iniziato a focalizzarsi considerevolmente sulla prevenzione sismica. 

Ma la vetustà degli edifici non certifica la scarsa qualità, eppure se andiamo a guardare lo stato di salute di questi edifici, emerge che: 

“Qualcosa è stato fatto col sismabonus ordinario e il Supersismabonus.  Tuttavia, questi interventi non sono mai ricaduti in un quadro organico o in una sorta di Piano chiaramente definito nei costi, nelle modalità di finanziamento, nelle modalità di intervento nei singoli territori e nei tempi di realizzazione delle opere”, afferma Angelo Domenico Perrini, Presidente del CNI.

“Il punto nodale resta la sostanziale carenza di dati di dettaglio sullo stato del patrimonio edilizio e gli eventuali interventi di ristrutturazione realizzati negli anni. Serve dunque un cambio di passo per riuscire a focalizzare bene gli obiettivi e gli strumenti di intervento, tentando di passare dalle ipotesi all’azione”.

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