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La prima biocostruzione “viva” stampata in 3D con terra e semi

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University of Virginia – Credit foto: Tom Daly

La sperimentazione ha permesso di realizzare anche strutture complesse

(Rinnovabili.it) – Perché natura ed edificio non possono diventare un’unica cosa? E’ partendo da questa domanda che Ji Ma, assistente professore di scienze dei materiali e ingegneria presso l’Università della Virginia, è arrivato a realizzare la prima biocostruzione stampata in 3D, fatta di terreno e semi.

Grazie alla partnership con il professore di ricerca in Scienze ambientali David Carr, l’assistente professore della Scuola di Architettura Ehsan Baharlou, e lo studente Spencer Barnes, Ma ha dimostrato che stampare in 3D strutture geometriche complesse che crescono da sole non è più impossibile.

I benefici dei giardini pensili sono ormai riconosciuti: isolamento naturale, benessere visivo, aiuto alla biodiversità, recupero delle acque piovane in eccesso. Ma fino ad ora Architettura e Verde sono sempre rimasti due elementi ben distinti tra loro.

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La miscela utilizzata dal team mescola terra e semi per ottenere un insolito “inchiostro” da stampare in 3D. Una volta ottenuta la forma finale, le piante che crescono sulla biocostruzione preleveranno acqua dalla terra stessa di cui è fatta la struttura. Questo processo che compatta ulteriormente la costruzione, esercita una pressione propria per trattenere l’acqua, il cosiddetto potenziale matriciale.

Ovviamente la ricerca ha prediletto piante che amano climi caldi e sopravvivono con poca acqua, in questo caso piante di Sedum, tipicamente usato nei giardini pensili.

L’economia circolare offerta dalla biocostruzione stampata in 3D

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University of Virginia – Foto per gentile concessione di E. Baharlou

Oltre ad essere esteticamente interessante, la biocostruzione prodotta dal team statunitense, porta avanti un concetto di economia circolare eliminando i rifiuti da costruzione.

“Siamo passati agli ‘inchiostri’ fatti di terra per trarre ulteriori vantaggi dalla produzione additiva circolare”, ha affermato Baharlou. “Stiamo lavorando con terreni e piante locali mischiati ad acqua; l’unica energia di cui abbiamo bisogno è per spostare il materiale e far funzionare una pompa durante la stampa. Se non abbiamo bisogno di un pezzo già stampato o se non è della giusta qualità, possiamo riciclare e riutilizzare il materiale nel prossimo lotto di inchiostri”.

Si tratta di un nuovo livello per la stampa 3D, che combina velocità di produzione, efficienza dei costi, basso fabbisogno energetico, con materiali a base biologica di provenienza locale. E un nuovo livello per il settore delle costruzioni, nel quale le emissioni vengono abbattute e l’architettura è riciclabile in tutte le sue parti.

I primi risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Additive Manufacturing. I prossimi passi prevedono la realizzazione di strutture più alte per superare anche gli ultimi limiti strutturali.

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