Alcuni spunti operativi per attività che restino ancorate al contesto autentico della vita di classe e scuola, all’interno del proprio territorio locale, favorendo al contempo l’analogia con la finitudine, l’interconnessione, i limiti di capienza e la precarietà degli equilibri del sistema pianeta.
di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo
La consapevolezza della complessità è un ostacolo o una condizione necessaria per l’agire civico? Dipende dalla cornice teorica e valoriale in cui intendiamo formarla e diffonderla. Di certo, come ha pionieristicamente proposto Edgar Morin, i sistemi educativi del XXI secolo non possono esimersi dal farsene carico. Non solo a causa della vera e propria complessificazione della società, che è frutto diretto dell’estendersi e dell’approfondirsi di interdipendenze di tipo produttivo, commerciale, finanziario, politico, giuridico, artistico, scientifico, tecnologico etc. tra gli esseri umani, il cui impatto crescente e irreversibile sugli equilibri del sistema-Pianeta sta facendo parlare dell’ingresso in una nuova era denominata “antropocene”.
Per motivare l’imperativo dell’educazione alla complessità non basta nemmeno aggiungere la nuova crescente consapevolezza scientifica della complessità oggettiva della natura, del Pianeta stesso, dell’Universo in cui viviamo, a prescindere dal nostro intervento. Il fatto ancor più importante è che da questa presa di coscienza e da questa condizione oggettiva della nostra esistenza possono derivare tanto un enorme rischio quanto un’enorme opportunità per il processo di emancipazione degli esseri umani – cui l’educazione intende contribuire in modo specifico e per così dire statutario. Il rischio è che prevalga culturalmente un senso di smarrimento, di deresponsabilizzazione e per questo di sottomissione della propria intelligenza a strumenti e autorità rassicuranti, mentre l’opportunità è che emerga una ricerca incessante di dialogo e confronto interpersonale e interculturali, un atteggiamento metodologicamente democratico e scientifico, un impegno tanto più coraggioso e indomito proprio in quanto nutrito di umiltà intellettuale.
Crediamo che per cogliere questa opportunità sia fondamentale imparare a riflettere e agire nell’ottica metodologica di quella che, dagli anni ’60 del secolo scorso, viene chiamata “dinamica dei sistemi”, senza la quale risulta impossibile districarsi, intravvedere strutture, prendere decisioni in modo sensato nella generale “complessità” del mondo. Sicuramente la padronanza della dinamica dei sistemi implica l’acquisizione di determinate nozioni teoriche e, per questo, rinviamo allo splendido lavoro di introduzione al metodo a firma di Donella Meadows: Thinking in Systems (Chelsea Green Publishing, 2008), in traduzione italiana Pensare per sistemi (Guerini, 2019) che vi invitiamo a leggere. Ma in chiave pedagogica, è sempre fondamentale chiedersi quali situazioni educative possono formare quell’humus mentale senza il quale l’apprendimento teorico rimane sterile. Perciò, nel presente articolo proviamo a proporvi degli esperimenti che aiutano a familiarizzare con tre pilastri concettuali della dinamica dei sistemi: accumulo (o stock), flusso e limiti.
CARTOGRAFARE O INVENTARIARE LE RISORSE
Si può partire da una consegna apparentemente semplice rivolta al gruppo classe: provate a individuare tutto ciò che usiamo o che comunque ci consente di stare assieme a scuola e di svolgere le nostre attività ogni giorno. È importante lasciare un tempo sufficiente per dare ampio spazio a tutte le idee e risposte individuali, al dialogo e ai confronti che ne possono nascere, stimolando il gruppo a non tralasciare alcun dettaglio. Si cerchi di tenere traccia, con particolare attenzione, sia di quello che tende a sfuggire agli studenti o alunni sia di quello che emerge da loro e sorprende gli stessi insegnanti, perché è proprio a partire dal riconoscimento del “non visto” o “non visto da tutti” che possono innescarsi lavori di approfondimento con spirito scientifico. In una scuola, sono stock altrettanto essenziali le risme di carta e le calorie del pasto, l’energia elettrica e il personale o gli studenti/alunni, il budget finanziario disponibile e le piante nel cortile…
Una volta terminata la raccolta di idee si può creare un documento (cartaceo o digitale) che permetta di visualizzare tutte le risorse individuate come necessarie. Il documento potrà prendere naturalmente diverse forme a seconda del livello scolastico e degli intenti del docente: dal più semplice inventario lessicale, suddiviso ad esempio per categorie, a vere e proprie mappe che cartografano e definiscono le risorse da più punti di vista possibili, ad esempio in base a criteri fisici (materiale/immateriale e tipi di materiali), alle funzioni che svolgono, alla collocazione nello spazio dell’edificio/classe, al grado di priorità che il gruppo attribuisce loro etc.
ANALIZZARE FLUSSI, QUANTITÀ E PROCESSI REALI
Il passaggio successivo consiste nell’introdurre l’idea di “flusso” e pensare a ciascuna delle risorse individuate in termini di entrata e uscita dall’edificio della scuola secondo differenti parametri: i criteri di misurazione quantitativa, la scala temporale più pertinente per misurare il cambiamento in questa quantità (ore, giorni, mesi, anni scolastici…?), i canali esatti di accesso e di uscita da scuola, le provenienze e le destinazioni, le metamorfosi subite nel passaggio a scuola.
Tutti questi parametri possono dar luogo a molteplici attività di analisi, confronto e rappresentazione delle informazioni quantitative e qualitative raccolte. È chiaro che in una scuola primaria sarà già un obiettivo sufficiente riuscire a riflettere sulla parola “flusso”, sulle pre-concenzioni della classe in merito al suo significato nelle esperienze quotidiane, su idee come “risorsa”, “rifiuto”, “trasformazione” etc. per realizzare ad esempio un cartellone collettivo che rappresenti in modo schematico alcuni flussi individuati nella vita reale di scuola. Avanzando via via con l’età e il livello scolastico, si acquisiscono strumenti (matematici, linguistici, scientifici, storiografici, geografici, tecnici…) che consentono evidentemente di rappresentare in modo sempre più dettagliato, rigoroso e ricco di sfumature i risultati del lavoro, sino a farne potenzialmente un vero e proprio studio che abbia ricadute reali e utili per l’intera comunità scolastica.
È importante, però, che fin dalla scuola primaria questo tipo di lavoro sia concepito insieme agli alunni come realmente funzionale alla vita scolastica. Il semplice contare quanti fogli di carta arrivano nella classe alla settimana, quanti se ne utilizzano e quanti se ne buttano, quanti sono fogli di recupero e quanti invece provengono da risme nuove, può portare i bambini e le bambine a riflettere poi in termini di azioni concrete per gestire in modo più consapevole il flusso. Man mano che si lavora con classi di cicli superiori, si potrà arrivare a questioni effettivamente complesse come la qualità e quantità della fonte energetica utilizzata per riscaldare l’ambiente scolastico a determinate temperature (e l’emissione di CO2 stimata), le ore di utilizzo dell’energia elettrica nella classe e il numero di dispositivi che alimenta (con un approfondimento sulle fonti da cui proviene l’elettricità effettivamente usata a scuola), il numero di persone, di ore di attività e di differenti mansioni impegnate a lavorare in una scuola e la ricerca di indicatori e metodi (indagine d’opinione, statistica, riflessione filosofica…) per stimare quantitativamente e qualitativamente i loro risultati (senza dare per scontato quali siano i risultati da misurare… ci sembra molto più interessante capire “quanti di noi sono felici di venire a scuola?” oppure “Quanti di noi sentono che venendo a scuola stanno imparando e capendo di più del mondo?” e simili).
RAFFIGURARSI L’ESPERIENZA DI LIMITI
Si descrive o legge o rappresenta alla classe lo scenario narrativo seguente: per un determinato tempo, sufficientemente lungo da provocare effetti tangibili, una determinata risorsa necessaria per la vita a scuola viene a mancare per cause non immediatamente risolvibili; la scuola deve andare avanti lo stesso. Si chiede alla classe (individualmente oppure a gruppi; in forma scritta o in forma di dibattito orale) di proseguire la narrazione e raccontare che cosa succede.
Si riflette poi collettivamente sui vari svolgimenti. Nei finali immaginati:
· si precisa chi e come ha trovato e deciso e realizzato le eventuali soluzioni?
· Sono state immaginate situazioni in cui non ci si riesce ad accordare su una soluzione?
· In che misura gli svolgimenti immaginati seguono linee di soluzione pacifica o ipotizzano scenari di conflitto o di non soluzione?
· Quali disagi creati dalla mancanza della risorsa sono stati rappresentati e colti?
· Fino a che punto le storie sono state costruite dando per scontato che quella risorsa sia effettivamente indispensabile e fino a che punto invece sono nate storie che ne hanno rimessa in discussione la necessità o ne hanno trovate di alternative?
Questa attività può naturalmente svolgersi in sinergia con il laboratorio sulle “risorse ineguali”.
Un altro tipo di esperimento può partire invece da un differente scenario che si chiede alla classe di immaginare: tutti i flussi in uscita dalla scuola sono improvvisamente interrotti per un tempo lungo e indeterminato, la classe è chiamata a riflettere su tutte le possibili conseguenze concrete che ne possono derivare per la vita a scuola e dividersi in gruppi in base a ciascuna di esse. Ogni gruppo dovrà elaborare un contributo tecnico che proponga come riorganizzare quell’aspetto della vita all’interno della scuola tenendo conto del nuovo vincolo. Alla luce dei contributi, la classe discuterà e delibererà un piano complessivo che, andando oltre l’ottica della simulazione, potrebbe rivelarsi di concreta utilità.