Il sistema scolastico italiano, nel quadro di una forte spinta condivisa a livello europeo in un contesto globale dominato da grandi attori del settore, è investito da una pioggia di denaro dedicato alla „digitalizzazione“. Ma siamo davvero tutti d’accordo che sia la priorità?
di Linda Maggiori
Secondo Bill Gates nel giro di un anno e mezzo l’intelligenza artificiale (assistenti virtuali e modelli multimodali, come ChatGPT), potrà facilitare l’apprendimento della lettura e della scrittura nei bambini, aiutando quelle famiglie che non possono “permettersi” validi insegnanti. Si può davvero pensare che sarà questo ennesimo “incantesimo” tecnologico a correre in soccorso ad una scuola pubblica allo sfascio e a porre rimedio alle profonde disuguaglianze sociali che permangono o forse si accrescono?
Sembra fantascienza, ma stando alle effettive linee di indirizzo delle politiche educative sono in molti a ritenere questa idea non così lontana dalla nostra realtà.
In particolare, anche l’Italia segue la scia degli USA e punta all’innovazione digitale della scuola. Il Piano Scuola 4.0 (decreto del Ministro dell’istruzione n. 161 del 14 giugno 2022) è finanziato da 2,1 miliardi di euro di fondi PNRR (europei) e ha l’obiettivo di “trasformare gli spazi fisici delle scuole, i laboratori e le classi fondendoli con gli spazi virtuali di apprendimento”. Si vogliono trasformare 100 mila aule in ambienti di apprendimento virtuali. Ma nel mondo della scuola ci sono molte voci critiche. Ne ho intervistate alcune, in giro per il paese, che mi sembra offrano spunti significativi su cui riflettere e impegnarsi.
Luca Malgioglio, prof. di Italiano di una scuola superiore di Roma e attivista di Teachers for future, oltre che membro fondatore dell’associazione La nostra scuola/Agorà 33, spiega: “i due grandi filoni del PNRR per la scuola sono inclusione e digitalizzazione, sull’inclusione i fondi sono legati alle prove Invalsi, e non sulle segnalazioni degli insegnanti, e già questo è un problema. Ma quello che più ci preoccupa riguarda la digitalizzazione: con la solita dinamica, invece di chiederci di cosa abbiamo bisogno, ci impongono soluzioni dall’alto.”
In pratica ogni Istituto Comprensivo riceve qualche centinaio di migliaia di euro (in base al numero degli alunni, plessi, ecc.) da spendere in strumentazioni digitali, in modo vincolato e obbligatorio. Insomma, non si può dire di no. Se una scuola volesse rifiutarsi di spenderli, correrebbe il rischio di essere addirittura commissariata.
“Bisognerebbe migliorare l’edilizia scolastica, aumentare i docenti, ridurre gli studenti per classe, abbiamo bisogno di cortili, giardini, orti scolastici, ma anche gite di istruzione a basso costo, non di visori o aule metaverso! – continua Malgioglio, che fa un confronto con gli anni passati – La pandemia ha dimostrato che fare didattica solo tramite strumenti digitali è un disastro. Ancora prima della pandemia, circa 7-8 anni fa, ci fu la sperimentazione “classi 2.0″ nella quale alcune classi in tutta Italia sperimentarono una didattica solo digitale, senza libri. Ebbene i rapporti sono stati molto critici e negativi, è stato un disastro, ne sono usciti ragazzini semianalfabeti. Ma qui in Italia si fanno le sperimentazioni e poi non si leggono i rapporti conclusivi. Pazzesco no?”
Stefano Borroni Barale è invece docente di informatica in una scuola superiore di Torino, appassionato di teorie dell’apprendimento legate alle reti informatiche, nonché sindacalista della Confederazione Unitaria di Base Scuola Università e Ricerca (CUB-SUR).
“I pacchetti didattici che usano la stragrande maggioranza delle scuole provengono dalle multinazionali statunitensi della Silicon Valley. Nel 90% delle scuole si usano programmi come Classroom, senza neppure prendere in considerazione programmi liberi e pubblici, piattaforme gratuite come quella che garantisce il funzionamento del progetto FUSS dell’intendenza di Bolzano per le scuole di lingua Italiana. Ci dobbiamo anche porre il dilemma etico della enorme mole di dati che vanno a finire in mano a queste aziende, come le useranno?”
Come ricorda Borroni Barale, il sindacato CUB-SUR nell’aprile 2023 ha lanciato una campagna “Libero insegnamento con libero software”: “Le norme che regolano la gestione dei dati di studenti e docenti, sono incompatibili con le piattaforme Google Workspace for Education e Microsoft 365 for Education, nonostante siano state ampiamente adottate da molte scuole italiane. L’unica soluzione in grado di tutelare il Titolare del Trattamento, ossia il Dirigente Scolastico, come confermato da una recente nota ministeriale, è l’adozione di soluzioni basate su Software Libero. Ogni altra opzione lascia aperta la porta al rischio di una o più violazioni del diritto amministrativo, civile e/o penale. Tutto questo mentre spendiamo miliardi in fretta e furia senza un piano concreto. Si dovrebbero usare le risorse del PNRR a tutela della democrazia nella scuola e nella società, che queste piattaforme assaltano alla radice.”
Eppure con i soldi del PNRR si comprano tecnologie proprietarie, cioè realizzate dalle grandi multinazionali. Ad esempio a scuola sono molto diffusi i “Cromebook” di Google: “Si tratta di piccoli portatili con il sistema operativo Android modificati in modo da rispondere alle esigenze di Google invece che della scuola – prosegue Barale. – La tecnologia non è mai neutra. Include al suo interno la visione del mondo di chi l’ha creata e risponde ai suoi interessi. Se usiamo tecnologie di multinazionali che hanno come obiettivo principale quello di massimizzare il loro profitto e condizionare i “clienti”, accettiamo anche che l’autonomia del docente e del discente venga progressivamente ridotta. Noi docenti di informatica dobbiamo invece insegnare ai ragazzi ad essere cittadini digitali critici, padroni dello strumento informatico, non solo saperlo usare, ma anche creare, modificare, criticare”.
Anche dal punto di vista ambientale questo proliferare di strumenti tecnologici è un problema. “Già ora si buttano LIM ancora funzionanti, si sostituiscono tablet e pc ancora buoni, e tra 5 anni faremo lo stesso con gli strumenti che compriamo oggi. Anche lo spreco di energia è evidente. L’intelligenza artificiale mangia risorse in maniera pantagruelica, sta sequestrando il 100% dell’energia verde a disposizione, e anche qui dobbiamo metterci in testa che non viviamo in un mondo infinito!”
Davide Viero è docente di sostegno in una scuola primaria di Valdagno, nel vicentino: “Ci sono molti bambini stranieri che non sanno l’italiano, avremmo bisogno di mediatori culturali, di insegnanti in più per seguire da vicino i bambini più in difficoltà, ma ci danno dispositivi elettronici. Non ha nessun senso questo investimento per le scuole primarie, ho visto foto inquietanti di classi con bambini seduti ai banchi, ognuno con un visore, vicini ma isolati, ognuno perso nel suo mondo virtuale. È agghiacciante, questa non è scuola, non è creazione di conoscenza, è piuttosto formare spettatori passivi. Ma almeno sui visori i collegi docenti possono dire di no, optare almeno nelle primarie per altri strumenti informatici meno invasivi. La scuola sta cambiando anima, si piega all’industria creando consumatori fidelizzati, senza alcuna rielaborazione culturale e critica degli strumenti imposti”.
Una prof del liceo Einstein di Torino, Terry Silvestrini, in una lettera aperta indirizzata ai colleghi del suo stesso sindacato CUB-SUR, racconta di aver votato NO all’approvazione del piano scuola 4.0 nel suo collegio docenti: “Questa privatizzazione digitale della scuola mi appare una riforma dell’istruzione non dichiarata e non approvata dal Parlamento né concordata con i sindacati. Tralasciando questioni importanti, quali una discussione sul software privato, libero o pubblico, mi chiedo se siamo proprio obbligati a dare il nostro consenso a un processo antipedagogico che punta a dissolvere non solo il nostro lavoro, ma interi mondi sociali e culturali. Siamo proprio obbligati ad allinearci senza fiatare alla scuola 4.0?”.
Per approfondire in modo critico i contenuti effettivi del Piano Scuola 4.0 vi suggeriamo di leggere questi due contributi pubblicati sul sito ROARS: sulla digitalizzazione, sulla libertà di insegnamento.