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Senza aiuti internazionali molti paesi non raggiungeranno gli obiettivi di ripristino forestale

Un nuovo studio ha identificato i Paesi che hanno bisogno di aiuto per raggiungere i propri target di rimboschimento. Fagan: "La comunità internazionale deve supportarli”

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Di Gabriele AltimariOpera propria, CC BY 3.0, Collegamento

A rischio i target  di ripristino forestale nel sud del mondo

(Rinnovabili.it) – Migliorare la vita delle persone, in particolare nelle comunità rurali, combattere il cambiamento climatico e proteggere le specie in via d’estinzione sono priorità di molte agende nazionali e internazionali. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni vedono nel ripristino forestale il punto di partenza fondamentale per ottenere questi risultati. Ad oggi moltissime nazioni si sono impegnate in questa direzione, definendo strategie interne o avvalendosi di progetti come la Bonn Challenge. Si tratta di un’iniziativa globale volta a ripristinare 150 milioni di ettari di terre degradate entro il 2020 e 350 milioni di ettari entro il 2030.

Il progetto, lanciato nel 2011 dal governo tedesco e dalla IUCN e successivamente approvato e ampliato dalla New York Declaration on Forests al vertice ONU sul clima del 2014, ha un obiettivo molto ambizioso. Peccato che 62 Paesi coinvolti non sono riusciti in questi anni neppure a raggiungere  il 54% dell’obiettivo del target 2020. A confermare la disfatta è un nuovo studio pubblicato su Conservation Letters, prima analisi completa sugli obiettivi di ripristino forestale legati al Bonn Challenge. 

 

Gli autori hanno evidenziato come il divario più profondo tra obiettivi e stato dell’arte si riscontri nel sud del mondo, nonostante proprio a questa fetta del Pianeta corrispondano gli impegni volontari più ambiziosi. Il Ruanda, ad esempio, si è impegnato a riforestare l’81% della sua superficie totale, il Burundi il 79%, il che richiederebbe cambiamenti profondi nell’uso del suolo e nella produzione alimentare.

Matthew Fagan, docente di geografia e sistemi ambientali presso l’UMBC e autore principale dello studio, ha sottolineato come queste nazioni sono quelle più interessate alla riforestazione in quanto “più consapevoli dei rischi che affrontano a causa dei cambiamenti climatici“. Al contempo, vista la situazione economicamente e socialmente complessa in cui si trovano, potrebbero essersi dati obiettivi ambiziosi per accedere a fondi consistenti sottovalutando le sfide che la riforestazione pone. 

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Abbiamo identificato i paesi che hanno bisogno di aiuto” per raggiungere i target, continua Fagan, “la comunità internazionale deve supportarli” e non solo economicamente. Fornire strumenti tecnici, formazione specifica, ascoltare le esigenze delle comunità sono fondamentali per aiutare i governi nei loro sforzi di riforestazione. Maggie Holland, professore associato di geografia e sistemi ambientali all’UMBC e coautore del documento, ha infatti sottolineato come gli sforzi di ripristino forestale abbiano “maggiori possibilità di conseguire un miglioramento duraturo quando le comunità locali hanno voce in capitolo nelle fasi iniziali del processo, si sentono abilitate a partecipare attivamente ad esso e possono beneficiare di questi sforzi direttamente e a lungo termine”. Com’è ovvio ogni paese richiede un approccio specifico: per alcuni la soluzione potrebbe essere quella di piantare alberi su terreni agricoli, per altri invece potrebbe essere più funzionale il diradamento delle foreste esistenti per prevenire gli incendi. “Anche se i paesi non hanno fatto grandi passi avanti nel ripristino forestale, in alcuni casi stanno apportando cambiamenti politici che, si spera, porteranno a soluzioni a lungo termine“, afferma Fagan. Portare elettricità nelle comunità rurali, per esempio, riduce la necessità di legna e di conseguenza la perdita di foreste, migliorando anche la salute delle persone, liberate dal fumo. 

In ogni caso le economie più ricche, suggeriscono gli scienziati,  dovrebbero “salire su questo carrozzone e fare di più“. “Credo ci sia un momento per costruire castelli in aria, – conclude Fagan – e uno per mettere loro le fondamenta. Stiamo investendo poco proprio in queste fondamenta, invece dobbiamo spendere più denaro per gli aiuti internazionali così da aiutare i paesi a capire come rispettare questi impegni”.

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