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L’Italia non è un Paese per architetti

Sblocca Italia- le critiche dure del CNAPPC(Rinnovabili.it) – L’Italia non è (più) un Paese per architetti, così si legge nel comunicato stampa del CNAPPC a commento del recente decreto Sblocca Italia da pochi giorni approvato.

 

“Con lo “Sblocca Italia”, molto ridotto, il Governo Renzi  – come peraltro accade tutti i giorni agli architetti italiani – ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore. Il Decreto contiene, infatti, solo norme che sarebbero adatte ad un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro“.

 

ABUSIVISMO E MANCANZE – Dure critiche da parte Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori allo Sblocca Italia in merito alle tematiche legate all’edilizia. Il CNAPPC lamenta nel decreto l’ennesima mancanza del tanto auspicato regolamento edilizio nazionale; il non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto; il non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate, tutte mancanze che rappresentano “la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.

 

REDDITI INCAPIENTI – Tra pochi giorni il Cresme e Consiglio Nazionale  presenteranno i dati dell'”Osservatorio 2014 sullo Stato della professione di architetto in Italia” che ancora una volta dimostra “l’incapacità della politica di comprendere la drammaticità della situazione: gli architetti italiani hanno ormai un reddito medio annuo sotto i 17 mila euro che, al netto di tasse e previdenza, vale la metà; al Sud, scende a 11 mila, mentre quello dei  trentenni  – mediamente –  non raggiunge i 500 euro mensili reali”.

 

L’Italia non è (più) un Paese per architetti – si legge nel comunicato – redditi medi da “incapienti” – senza peraltro avere alcuna garanzia “sindacale” né cassa integrazione, né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218,  quelli da parte delle imprese 172 e,  dei privati, 98.”

 

Un decreto inadeguato per un Paese inadeguato, che dipinge la drammatica realtà di un settore di fondamentale importanza per la ripresa e soprattutto per la sicurezza dell’Italia, dove l’abusivismo e la mancanza di regolamenti certi hanno favorito disastri ambientali e vere e proprie stragi.

 

Chiediamo alle Istituzioni – ed in particolare al Capo dello Stato ed al Presidente del Consiglio – se l’Italia, patria dell’architettura, sia disponibile a fare a meno di noi architetti, visto che non sopravviveremo un altro anno (nel 2013 il calo del fatturato è stato del 33 per cento circa) e dovremo chiudere i nostri studi, grandi e piccoli. Ma anche se il Paese possa fare a meno del made in Italy che noi abbiamo inventato con le nostre idee e i nostri progetti; e come si potrà fare per rigenerare le città, riprogettare i territori, salvare i monumenti del Bel Paese quando l’assenza di visione e la burocrazia ottusa avranno finito di distruggere l’architettura italiana“, prosegue il CNAPPC.

 

UN PROBLEMA PER IL FUTURO DEL PAESE – Prosegue poi sottolineando il problema della “fuga di cervelli” che ha visto oltre 60 mila giovani architetti scappare all’estero senza tornare, “uccidendo, così, per i cittadini italiani, la speranza di un habitat migliore per il futuro? E si continuerà a considerarci – a seconda delle convenienze del momento – ora una lobby di ricchi, ora “partite IVA” e non lavoratori che tutti i giorni per 12 ore sgobbano per fare il loro dovere e aiutare l’Italia a crescere?”

 

“Non abbiamo mai chiesto né chiediamo sussidi o favori. Pretendiamo, però – conclude il Consiglio Nazionale –  il rispetto del nostro lavoro che viene, invece, quotidianamente vessato da una burocrazia ossessiva, da un mercato sregolato in cui i diritti sono solo quelli degli altri, da una concorrenza spietata delle società pubbliche, da regole per gli appalti che favoriscono i soliti pochi noti, da una fiscalità insensata, dal lasciarci indifesi di fronte alle banche, dall’emarginarci dalle politiche economiche; e per di più, chiudendo gli occhi, davanti agli abusi edilizi, ai centri storici che crollano, all’edilizia sommersa, alle vere lobby che razziano appalti a colpi di tangenti”.

 

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