Italia quarta al mondo per ore in mare nella pesca industriale
(Rinnovabili.it) – Oltre la metà degli oceani del pianeta sono presi d’assalto dalla pesca industriale, un fenomeno che sta impoverendo drasticamente la popolazione di animali marini e che presto potrebbe letteralmente svuotare le acque dei loro abitanti.
Una serie di mappe, basate sul feedback di oltre 70 mila navi, mostrano che la pesca commerciale copre una superficie maggiore rispetto all’agricoltura e solleva nuove domande sulla salute degli oceani e sulla sostenibilità di simili pratiche. I dati sono usciti su Science e puntano il dito su alcuni stati: in particolare la Cina, dal momento che intorno al capodanno cinese – periodo di ferie in tutto il paese – si registrano bruschi cali della pesca.
La ricerca è stata condotta dall’organizzazione statunitense Global Fishing Watch, finanziata in parte da Google e sostenuta dall’attore Leonardo Di Caprio. Il documento è stato scritto da accademici delle università della California, Stanford e Dalhousie in Canada, e hanno collaborato National Geographic e Google.
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Dallo studio emerge che cinque paesi sono responsabili dell’85% della pesca industriale misurata in ore in mare. La metà di questo 85% è tutta cinese. Gli altri stati che stanno disintegrando la popolazione ittica sono Taiwan, Spagna e Italia.
Questi dati aiutano anche a spiegare l’estremo declino di alcuni stock ittici. Gli esperti hanno raccolto 22 miliardi di informazioni dai sistemi satellitari installati sui pescherecci più grandi e su alcuni più piccoli, che di solito operano vicino alla costa. Da questo lavoro, che copre il periodo 2014-2016, sono state realizzate le mappe dell’attività di pesca, scoprendo dove veniva praticata più intensamente. E cioè nella maggior parte degli oceani del mondo. Le eccezioni, infatti, sono solo l’Oceano Meridionale (battuto da tempeste fredde e dove le condizioni meteorologiche sono estreme), alcuni “buchi neri” nei mari più sfruttati che corrispondono a zone economiche esclusive, e spazi vuoti in quei mari mari dove ci sono troppo pochi pesci e crostacei per rendere remunerativa l’attività.