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I super microbi che si accendono come una Tv, catturano CO2 e producono bioplastiche

microbi co2I microbi modificati potrebbero facilmente essere immessi in vasche adiacenti a siti industriali per abbattere l’impronta di carbonio della produzione

 

(Rinnovabili.it) – Un gruppo di ricercatori della Colorado Boulder University ha sviluppato un processo che stimola i microbi a consumare grandi quantità di CO2 e produrre al contempo sostanze chimiche come ammoniaca, bioplastiche, benzina o biodiesel.

 

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the American Chemical Society, nasce nel 2013, su iniziativa del professor Prashant Nagpal intenzionato a verificare la possibilità inserire punti quantici nanoscopici (piccolissimi semiconduttori in tutto simili a quelli usati nei moderni televisori) all’interno di particolari cellule microbiche dotate di enzimi capaci per natura di convertire diossido di carbonio e azoto, ma che rimangono passivi a causa della mancanza di fotosintesi.

 

I punti quantici inseriti nelle cellule microbiche sono progettati per attaccarsi e autoassemblarsi agli enzimi e attivarli sfruttando specifiche lunghezze d’onda della luce: l’esposizione a minime fonti luminose attiva l’appetito di CO2 e azoto dei microbi, senza ulteriore bisogno d’immissione d’energia.

 

A seconda della frequenza d’onda che i punti quantici sono in grado di assorbire, gli enzimi sono stimolati a consumare anidride carbonica o azoto. Le frequenze d’onda della gamma di raggi verdi stimola il consumo di azoto e la produzione come materia di scarto di ammoniaca, mentre le frequenze tendenti allo spettro di luce rossa stimolano il consumo di CO2 e la produzione di sostanze chimiche plastiche.

 

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Il modello creato dal professor Nagpal e dal suo team prevede l’immersione in acqua dei batteri modificati: teoricamente ogni abitazione e ogni stabilimento industriale potrebbe scaricare le proprie emissioni di CO2 direttamente all’interno di queste vasche per innescare il metabolismo dei microbi e raccogliere le sostanze chimiche che si verrebbero a formare in superficie per poi rivenderle ad aziende di lavorazione biochimica.

 

Piuttosto che il ritorno economico della vendita dei derivati biochimici, le “fabbriche viventi” immaginate dal professor Nagpal potrebbero rappresentare il primo passo verso un diffuso sistema di sequestro e conversione di CO2 e di altri gas serra oltre che di produzione di sostanze biochimiche ecocompatibili.

 

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