(Rinnovabili.it) – Le grandi manovre dell’industria per ostacolare la revisione della direttiva ETS, che dovrebbe riformare il mercato del carbonio, sono iniziate. O meglio, proseguono a gonfie vele. La Corte europea di Giustizia, a fine aprile, ha intimato alla Commissione di ricalcolare le quote gratuite assegnate all’industria pesante fino al 2020. Ora l’esecutivo europeo ha 10 mesi per stabilire un nuovo importo, che non inciderà su quanto già assegnato fino ad oggi. Inoltre, la direttiva deve anche indicare la quantità di permessi da dare all’asta – e di conseguenza l’ammontare di quelli gratuiti – prevista per il decennio 2020-2030.
In questo processo si inseriscono, naturalmente, le grandi lobby industriali interessate dalla revisione della direttiva. Come riporta il Corporate Europe Observatory, molti interessi si stanno concentrando sul riesame cui è obbligata la Commissione europea. Il timore è che il mercato del carbonio, strumento cui Bruxelles ha affidato quasi interamente la transizione energetica, possa continuare a rivelarsi non solo inutile, ma anche dannoso. La montagna di quote di emissioni gratuite ricevute dalle imprese ha permesso loro di evitare costosi avanzamenti tecnologici o faticosi riorientamenti del business. Anzi, i colossi si sono addirittura arricchiti aumentando i costi per il consumatore finale, sebbene il processo di produzione non fosse gravato da una aumento del prezzo delle emissioni. Se considerassimo solo i mancati costi sostenuti grazie alle assegnazioni gratuite nel periodo 2008-2014, potremmo quantificarli sui 24 miliardi di euro.
I potenziali risparmi dal 2021 al 2030 sarebbero ancora più consistenti: la valutazione d’impatto della stessa Commissione europea suggerisce che permessi gratuiti potrebbero evitare alle imprese una spesa complessiva di 160 miliardi di euro.
Dunque, ora che la Corte di Giustizia ha presentato il conto e la Commissione è costretta a metter mano a quelle regole tanto convenienti, le lobby sono entrate in azione per ammorbidire la revisione. Il principale argomento per opporsi a una riforma coraggiosa è il rischio di carbon leakage, cioè la minaccia di un trasferimento delle aziende inquinanti all’estero, dove le normative sono più tolleranti. Tuttavia, secondo il Corporate Europe Observatory, questo spauracchio non esiste: anche se le quote di carbonio costassero 10 volte tanto, uno studio del Centre for Climate Change Economics and Policy (CCCEP) sostiene che i livelli di import ed export in Ue cambierebbero poco o nulla.
Tuttavia, le industrie dell’acciaio, dell’alluminio, dei prodotti chimici e della carta lamentano un aumento dei costi a causa del sistema di scambio delle emissioni europeo (ETS). Chiedono che questi vengano compensati con aiuti di Stato anche dopo il 2020.
Anche i produttori di energia dal carbone stanno premendo per continuare ad ottenere le quote gratuite di emissioni che ora ricevono grazie a un buco nella normativa. Se la deroga alla direttiva rimarrà intatta, l’Europa continuerà a sovvenzionare nascostamente il carbone.