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Legambiente denuncia l’assalto all’oro nero della Sicilia

Da Goletta Verde la bandiera nera ad Eni ed Edison che, con nuovi pozzi petroliferi e nuove attività di prospezione, mettono a rischio l’ecosistema

oro nero della Sicilia
Foto di David Mark da Pixabay

I numeri della corsa all’oro nero siciliano

(Rinnovabili.it) – Nel 2016, tra attività sulla on shore ed offshore 148 pozzi siciliani hanno contribuito con 1 milione tonnellate di greggio della produzione nazionale di petrolio. Una quantità che oggi basterebbe a coprire appena l’1,6% del fabbisogno nazionale.

Malgrado ciò (o proprio per questo motivo) si continua a trivellare la natura siciliana. Alle attuali 9 concessioni di coltivazione, se ne potrebbero presto aggiungere altre 4, le cui richieste sono oggi in fase di valutazione d’impatto ambientale. A questi vanno aggiunti altri 12 permessi di ricerca già avviati lungo l’iter burocratico,16 nuove istanze di permesso di ricerca attive e due permessi di prospezione a mare.

Numeri, quelli che caratterizzano la corsa all’oro nero della Sicilia, che mettono in allarme e oggi Legambiente ricorda con un dossier dedicato. Il report, presentato in occasione della tappa palermitana di Goletta Verde 2017, punta il dito sia sull’operato del Governo che sulle compagnie petrolifere, e in particolare sui Eni ed Edison, che detengono tra concessioni, permessi e istanze di ricerca il 57% dei titoli su terra e mare siciliani.

“Oggi con Goletta Verde assegniamo la bandiera nera ad Eni ed Edison, i due principali nemici del clima del nostro Paese – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambienteper la continua corsa all’oro nero nel canale di Sicilia e per l’arrogante ricorso presentato contro il piano paesaggistico approvato dalla provincia di Ragusa per tutelare un prezioso territorio della Sicilia sempre più vocato al turismo di qualità e allo sviluppo di attività economiche e culturali alternative al petrolio”.

>>Leggi anche: Dopo la Consulta, serve un ultimo ricorso per fermare le trivelle <<

Le due società stanno tentando di combattere attraverso i tribunali il piano paesaggistico in provincia di Ragusa, i cui vincoli impedirebbero il loro programma estrattivo sull’isola. Il rischio concreto è che se il Tar dovesse accogliere il loro ricorso, non solo si aprirebbe la strada a ulteriori pozzi sul territorio, ma si ritornerebbe indietro di decenni ai tempi dell’assalto della cementificazione al territorio siciliano. Nel ricorso al Tar di Eni ed Edison viene impugnato in particolare l’articolo 20 del Piano che divide i territori in tre zone di tutela. Se il tribunale dovesse accogliere la richiesta facendo decadere l’articolo in questione salterebbero tutti quanti i piani paesaggistici della Sicilia che sono non regionali ma suddivisi per provincie, dando mano libera non solo al settore petrolifero ma anche a quello della cementificazione. “Colpisce – dichiara Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia – l’accanimento di Eni ed Edison verso quel territorio, dove i giacimenti attuali sono in evidente di calo di produzione ormai da anni e dove è stato scelto un nuovo modello di sviluppo locale, basato su sostenibilità, cultura e turismo di qualità”.