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La pesca commerciale mette a rischio grandi e piccoli cetacei nell’Oceano Indiano

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La pesca commerciale del tonno ha ucciso oltre 4 milioni di piccoli cetacei dal 1950: solo nel 2006 oltre 100.000 cetacei, principalmente delfini, ne sono stati vittima 

(Rinnovabili.it) – È la pesca commerciale ad aver diminuito la popolazione di delfini presenti nell’Oceano Indiano di oltre l’80% secondo lo studio condotto da alcuni ricercatori e pubblicato su Endangered Species Research. 

Circa il 34% delle catture di tonno nell’Oceano Indiano avvengono con l’uso delle reti da posta derivanti. Si tratta di strumentazioni attualmente vietate dalla legislazione europea proprio “per prevenire rischi ecologici”. Questa tipologia di pesca infatti “praticata per catturare tonno, pesce spada e talune altre specie presenta un difetto di selettività, sicché comporta catture accessorie e rischi per le popolazioni di specie diverse da quelle bersaglio”. I ricercatori hanno analizzato, combinando i risultati pubblicati da dieci programmi di campionamento delle catture accessorie in Australia, Sri Lanka, India e Pakistan tra il 1981 e il 2016, i tassi di catture di cetacei in tutte le attività di pesca del tonno nell’Oceano Indiano. I risultati dello studio indicano che un totale cumulativo stimato di 4,1 milioni di piccoli cetacei sono stati vittime dirette delle catture accessorie in reti da pesca commerciali tra il 1950 e il 2018. 

Lo studio ha esaminato quindi tutti i tipi di cetacei, ma la maggior parte delle catture accessorie riguarda i delfini. Solo nel 2006 oltre 100.000 cetacei, in maggioranza proprio delfini, sono stati catturati in reti da posta commerciali e il numero annuo attuale si attesta a circa 80.000 esemplari. In ogni caso, come sottolinea la Dott.ssa Puti Liza Mustika, co-autrice dello studio del College of Business, Law and Governance della James Cook University, la maggior parte dei cetacei catturati accidentalmente nelle reti non vengono segnalati e probabilmente vengono ributtati in mare morti. Come sottolineano i ricercatori, queste stime, oltre a tenere poco conto degli animali non portati a terra, non calcolano nemmeno gli impatti su grandi cetacei come le balene che fuggono dalle reti, della mortalità associata alle reti fantasma, delle catture con arpioni fatte dalle reti da posta, o delle morie collegate ad altre attività di pesca del tonno. Quindi questi dati possono essere notevolmente inferiori a quelli reali, ma dimostrano comunque “l’ordine di grandezza del problema”. 

 

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I ricercatori hanno studiato in particolare i paesi che catturano più tonni al mondo partendo dal presupposto che siano quelli con il maggior numero di catture accessorie. In prima posizione vi è l’Iran, seguito da Indonesia, India, Sri Lanka, Pakistan, Oman, Yemen, Emirati Arabi Uniti e Tanzania. Questi nove paesi rappresentano “circa il 96% di tutte le catture accessorie di cetacei provenienti dalla pesca del tonno con reti da posta nell’Oceano Indiano”. Lo studio afferma che per le 214.262 tonnellate di tonno pescate ogni anno nell’Oceano Indiano solo dall’Iran, vengono catturati accidentalmente circa 30.302 cetacei. “È una morte dolorosa. I delfini sono intelligenti, ma essendo queste reti molto sottili il sonar dei delfini non riesce a rilevarle”, ha spiegato Mustika.

Questo tipo di pesca, secondo i ricercatori, potrebbe essere la più grande sfida che i cetacei devono affrontare ad oggi nell’Oceano Indiano. Nonostante riconoscano che le stime “non sono definitive”, sottolineano anche che per ogni 1.000 tonnellate di tonno attualmente in fase di cattura vengono intrappolati nelle reti circa 175 cetacei. “Questo numero di catture accessorie è allarmante” ha continuato Mustika e sono quindi fondamentali “un monitoraggio, una riduzione e una gestione migliorati”. Come principale soluzione al problema lo studio indica la collaborazione con i pescatori. È possibile convincerli a passare ad altri strumenti, come canne e lenze: Mustika, dopo aver parlato con molti di loro, ha sottolineato che si dichiaravano molto tristi quando i piccoli cetacei finivano intrappolati nelle loro reti e quindi disposti a un cambiamento. La riduzione dell’incidenza del bycatch, ossia delle catture accessorie, è importante sia da un punto di vista ecologico che da quello economico, ma “la soluzione deve essere la tecnologia, oltre all’uso di attrezzi da pesca più sostenibili”, ha continuato Mustika, infatti “vietare la pesca a queste persone non è una soluzione percorribile per i paesi in via di sviluppo”. 

 

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