(Rinnovabili.it) – Come fare ad essere preparati nel migliore dei modi agli effetti dell’inquinamento sulla salute umana? A questa domanda gli scienziati riunitisi la settimana scorsa a Washington DC per l’American Society for Microbiology (ASM) hanno dato una risposta precisa: mini organi sintetici dotati di chip. E’ questo il settore di ricerca su cui si stanno concentrando diversi enti scientifici, militari ed accademici negli USA, a lavoro ormai da tempo su modelli miniaturizzati di fegato, midollo osseo o reni su cui testare contaminanti biologici, chimici e radiologici.
L’obiettivo è semplice: studiare gli effetti delle molecole dannose per creare valide applicazioni di biodifesa. La speranza è che questi complessi sistemi tridimensionali sappiano imitare la fisiologia umana meglio di quanto non facciano le cellule coltivate in vitro o della sperimentazione animale. La flessibilità offerta da questi mini organi sintetici sembrerebbe già oggi particolarmente attraente per i ricercatori dal momento che potrebbero studiare gli agenti patogeni pericolosi senza le restrizioni di sicurezza attualmente richieste.
Nel corso dell’incontro dell’ASM, l’Environmental Protection Agency (EPA) ha rivelato di essere pronta ad avviare, per il prossimo mese, un programma del valore di 18 milioni di dollari dedicato alla mini ingegneria biologica; lo scopo? Riuscire a connettere un mini-fegato a un chip che simula le membrane fetali, le ghiandole mammarie e gli arti in via sviluppo per capire come contaminanti sintetici come la diossina o il bisfenolo possano alterare il metabolismo, una volta che sono stati elaborati a livello epatico.
Il dipartimento della Difesa invece, sta sperimentando dei ‘mini polmoni’ per capire il comportamento di agenti usati nel bioterrorismo come l’antrace, mentre alcune università vogliono usare i mini organi per verificare come agiscono virus e batteri. Per formare questi organi artificiali in miniatura, gli scienziati seminano le cellule nei canali di un piccolo chip plastica per poi alimentarli con liquido ricco di sostanze nutritive che scorre attraverso il sistema imitando il sangue. I dispositivi possono essere utilizzati singolarmente o collegati ad altri tipi di organi su chip per approssimare un sistema biologico. I ricercatori hanno già sviluppato decine di singoli organi modello; la prossima sfida sarà quella di collegarli insieme con l’obiettivo finale di formare un intero corpo umano su un chip, spiega Kristin Fabre, un program manager del National Center for Advancing Translational Sciences (NCATS) di Bethesda, nel Maryland. Ciò fornirebbe un quadro più preciso degli effetti dei farmaci o delle tossine sulla fisiologia umana. Passeremo così dall’Homo sapiens all’Homo chippiens?