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Biennale, il senso di Foster per i droni in architettura

Il senso di Foster per i droni in architettura alla Biennale

 

(Rinnovabili.it) – L’Africa connessa grazie ai droni. Non è un’idea di Zuckerberg o di Google, e il punto centrale non è il segnale internet. L’idea dell’archistar Norman Foster, in mostra alla Biennale 2016, rilancia il ruolo dei droni in architettura – e dà all’architettura stessa un respiro più ampio, in linea con l’afflato umanitario per cui questa edizione sarà ricordata.

All’Arsenale è esposto il concetto di un droniporto. Un prototipo a scala reale che ha tra i suoi obiettivi principali quello di re-immaginare le comunicazioni e i trasporti tra comunità rurali in zone dove le infrastrutture sono assenti. Un collegamento a tutti gli effetti leggero, con l’impronta ambientale più bassa possibile senza perdere in funzionalità.

L’uso dei droni in architettura, per il momento, è essenzialmente limitato al trasporto di medicinali, ma lo sviluppo è in divenire: allo studio la possibilità di renderlo hub logistico per droni-cargo. La struttura a volta che lo caratterizza è formata da due strati di Durabric: sono blocchetti di terra compressa (quindi con materiali da fonti locali) progettati dalla fondazione LafargeHolcim insieme a Politecnico di Zurigo e MecoConcept di Toulouse.

 

Altri sviluppi su cui Foster sta puntando l’attenzione è l’integrazione del solare nella struttura. Per il momento l’ipotesi in fase di test è la possibilità di stampare in 3D, direttamente in sito, i SolarBricks ideati da Olafur Eliasson. Sono mattoni che ospitano celle solari sul lato esterno, alimentano luci a LED su quello interno, e potrebbero diventare una caratteristica onnipresente in questa come in altre strutture in quelle zone dove le forniture di elettricità sono scarse o assenti.

«Il progetto del droniporto riguarda il fare di più con meno, il capitalizzare i recenti sviluppi nella tecnologia dei droni – ha spiegato Foster – E’ qualcosa che normalmente viene associato a guerre e ostilità, ma in questo caso ha immediatamente l’impatto di salvare vite in Africa».

Il primo progetto sarà realizzato in Ruanda (fine lavori prevista nel 2020), con l’ambizione di allargarsi a macchia d’olio nel continente entro il 2030.

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