La costruzione di dighe e l’urbanizzazione hanno bloccato la rotta migratoria dell’animale, impedendogli di riprodursi e provocandone l’estinzione.
(Rinnovabili.it) – Un tempo, il fiume Yangtze era un ecosistema fiorente che ospitava numerose e rare specie acquatiche. Terzo fiume più grande del mondo, con oltre 6.300 chilometri di lunghezza, oggi è anche uno dei corsi d’acqua più sfruttati dall’uomo. Dal 1950, questo sistema fluviale ha infatti subito profondi interventi antropici che hanno portato a drastici cambiamenti ambientali. L’inquinamento, la cementificazione, la pesca eccessiva ne hanno minato la biodiversità, provocando così l’estinzione del primo animale del 2020: il pesce spatola cinese. Lo Psephurus gladius, che poteva raggiungere i 7 metri di lunghezza e i 450 chili di peso, era apparso nelle acque del fiume tra i 34 e i 75 milioni di anni fa.
Uno studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment spiega che la diffusione dell’animale ha subito un netto declino dal 1970, principalmente a causa della pesca e della frammentazione del suo habitat. Ma l’esistenza del cosiddetto ‘re dei pesci d’acqua dolce’ è stata minacciata anche dalla costruzione di numerose dighe, tra cui la diga di Gezhouba del 1981, che ne ha bloccato la migrazione da monte (per riprodursi) a valle (per nutrirsi). È probabile, scrivono i ricercatori, che “l’impossibilità di riprodursi sia stata tra le principali cause di estinzione”. I soli 210 avvistamenti tra il 1981 e il 2003 non lasciavano sperare nulla di buono, e gli stessi ricercatori stimarono la sua possibile estinzione tra il 2005 e il 2010. Nessuno sforzo e nessuno studio sono serviti a proteggerlo, e non ne esistono nemmeno esemplari in cattività, né tessuti conservati da cui poter estrarre il DNA, quindi “il pesce dovrà essere considerato estinto secondo i criteri della Lista Rossa IUCN”.
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Il problema dell’estinzione non riguarda però solo il pesce spatola cinese. Un sondaggio del 2017 ha infatti osservato che altre 332 specie di pesci sono da considerare altamente minacciate e ben 140, storicamente presenti nel bacino, mancavano all’appello. Dagli anni Cinquanta l’area del fiume Yangtze è stata soggetta a un intenso sviluppo economico e ha visto sorgere oltre 40 città lungo le sue sponde. Ad oggi, la zona produce il 40% del PIL della Cina, ma a causa di questa crescita l’ecosistema del fiume ha subito stravolgimenti irreversibili. Carles Lalueza-Fox, ricercatrice presso l’Institute of Evolutionary Biology dell’Università di Pompeu Fabra (UPF) e del Consiglio superiore per la ricerca scientifica (CSIC), ha dichiarato che questo tipo di notizie “saranno sempre più frequenti e mostrano i limiti degli sforzi tradizionali di conservazione. Sebbene le acque dei fiumi cinesi siano migliorate in termini di qualità negli ultimi due o tre anni, grazie agli sforzi del governo, questo miglioramento sembra essere arrivato in ritardo”.
Wei Qiwei, studioso presso l’Istituto di ricerca sulla pesca del fiume Yangtze e coautore dello studio, ha affermato che l’estinzione di questo grande pesce ha messo in luce l’importanza di “ottimizzare gli sforzi di conservazione della fauna dello Yangtze in via di estinzione”. La scorsa settimana la Cina ha annunciato un divieto di pesca commerciale di 10 anni in oltre 300 zone di conservazione lungo il fiume, a causa del “declino generale” della biodiversità, secondo quanto riferito dal Ministero dell’agricoltura e degli affari rurali alla Xinhua News Agency. Gli sforzi sembrano tuttavia non essere ancora sufficienti.
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