Come funziona il sistema italiano per la gestione del fine vita di pile, accumulatori, RAEE e moduli fotovoltaici? Lo scopriamo con un viaggio a 360° nel mondo COBAT, il Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo, guidati dal suo Presidente, Giancarlo Morandi.
Presidente, il Consorzio che lei rappresenta ha un’attività particolarmente differenziata. Esattamente in quali settori operate?
Ormai il Cobat ha scelto di essere, nell’ambito dell’economia circolare, un attore a tutto campo. Noi riteniamo importante applicare integralmente il paradigma di questo nuovo approccio al sistema produttivo e quindi vorremmo potenzialmente trattare tutti i materiali che arrivano a fine vita utile recuperando le materie prime di cui sono costituiti o, addirittura, avviandoli a nuova vita per un riuso. In altre parole: attualmente il Cobat non si pone limiti merceologici. E questo anche perché la tipologia di prodotti che, obbligatoriamente, debbono essere riciclati è in continua implementazione. Ad esempio, il primo gennaio 2018 aumenterà ulteriormente l’elenco di categorie merceologiche che obbligatoriamente necessitano di essere raccolte e riciclate, e non sarà l’ultimo passaggio: la Comunità Europea integra periodicamente l’elenco, e l’Italia si adegua.
Di quali prodotti maggiormente vi occupate?
Il Consorzio, tradizionalmente, raccoglie e avvia al riciclo ogni tipo di accumulatore elettrico, dalle batterie al nichel-cadmio a quelle al litio, oltre a tutti i tipi di accumulatori da noi denominati “pile”, cioè quelle dell’uso domestico e delle piccole apparecchiature. Oltre a questa famiglia di accumulatori, ci occupiamo di tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche domestiche, dall’asciugacapelli al frullatore, dal televisore al frigorifero e al computer. All’interno di questi prodotti vi sono materie prime importanti e costose, come l’oro, l’argento e il rame che, se vengono recuperate, possono essere di nuovo avviate sul mercato.
Parliamo della vostra rete, ben nota in tutta Italia. Com’è organizzata?
Molti anni fa abbiamo scelto di costruire il “modello Cobat” come – scusate il paragone pretenzioso – un cervello dotandolo di arti operativi costituiti da operatori terzi. Attraverso questo modello abbiamo selezionato, ormai quasi trent’anni fa con appositi bandi di gara, aziende che già operavano sul mercato con consolidata esperienza, aziende che nel tempo abbiamo aiutato a crescere dal punto di vista qualitativo, organizzativo e nei confronti dell’ambiente.
Da quante unità è composta la rete?
R: Le aziende che si occupano della raccolta e della parte logistica sono circa 70, disseminate su tutto il territorio nazionale. Poi vi sono altre 30 aziende che si occupano della parte del riciclo, cioè aziende che ricevono i prodotti raccolti, li smembrano, recuperano il materiale – se necessario attraverso processi industriali – e poi avviano alla vendita gli elementi recuperati.
Ho letto che il vostro sistema di raccolta è attualmente l’unico ad alta tracciabilità. Mi spiega cosa vuol dire?
Il nostro sistema di raccolta si basa su un modello organizzativo aggiornato in tempo reale. Gli operatori ed i partner Cobat sono “obbligati” ad informarci di ogni attività che riguarda la movimentazione di materiale. Quindi conosciamo in tempo reale, attraverso costanti comunicazioni, dove si trovano gli autocarri che trasportano il nostro materiale, le loro targhe quanto e cosa viene scaricato negli impianti di riciclo. Insomma abbiamo la tracciabilità costante di tutti i prodotti che trattiamo.
Nel 2018 si concluderà il progetto che avete commissionato al CNR, con il coordinamento del Politecnico di Milano, per la realizzazione di un impianto pilota con il quale sperimentare tecnologie di ultima generazione per il trattamento, ed il recupero, di accumulatori al litio. Di cosa si tratta?
Vale la pena fare una premessa: alla base dell’economia circolare è indispensabile porre sempre la progettazione del prodotto. E’ evidente che io posso avviare al riciclo, o recuperare, un prodotto solo se concepito e progettato per il riciclo dei suoi componenti. Diversamente diventa difficile e costoso. Mentre per le batterie al piombo, nonostante siano state progettate 150 anni fa, è stato sempre possibile recuperare il piombo, la plastica e l’acido solforico, nelle batterie al litio, ancor oggi e a livello mondiale, non esiste una tecnologia matura e testata su scala industriale che consenta il recupero del prezioso elemento presente nell’accumulatore. Fino ad oggi le piccole batterie al litio che si recuperano dalle nostre apparecchiature elettroniche vengono portate in due grandi impianti in Francia e in Belgio dove vengono bruciate nei forni.
Noi stiamo studiando, insieme al CNR, un sistema per riuscire a recuperare il litio all’interno della batteria oltre, naturalmente, a tutti gli altri componenti. Siamo al secondo anno di attività e prevediamo, entro il 2018, di realizzare un impianto pilota per testare la nuova tecnologia per il recupero del litio e di altri materiali tra i quali anche il costosissimo cobalto. In particolare il recupero del litio assume una grande importanza in quanto si prevede un’esplosione di questa tipologia di batterie con lo sviluppo del mercato dei veicoli elettrici. L’attuale produzione di litio nel mondo difficilmente riuscirà a far fronte, a lungo, al suo fabbisogno per cui è indispensabile trovare il modo di recuperarlo. Credo che il Cobat e il CNR riusciranno presto a testare una tecnologia, per la prima volta al mondo, capace di recuperare questo preziosissimo materiale.
A proposito delle auto elettriche. Energy storage è un altro vostro progetto che mira a sviluppare la fattibilità del riutilizzo degli accumulatori delle auto elettriche per sistemi di accumulo stazionario. E’ davvero possibile immaginare che una batteria da un’autovettura vada a finire in una centrale di accumulo?
Si tratta di una intuizione che abbiamo condiviso con Enel e Class Onlus per garantire agli automobilisti, che desidereranno acquistare un’auto elettrica, il riutilizzo della loro batteria. Debbo premettere che parliamo di batterie non giunte a fine vita, bensì quelle che hanno perso la potenza necessaria allo spunto richiesto per una autovettura, e che al contempo sono ancora in grado di funzionare per accumulare energia elettrica. Il progetto prevede un sistema di raccolta di queste batterie, di ricondizionamento e di inserimento in impianti ENEL di stoccaggio.
Il sistema è già operativo?
Questa procedura non è stata ancora resa operativa per un semplice motivo: manca il numero sufficiente di batterie recuperabili dalle autovetture elettriche. Un sistema analogo è stato lanciato negli USA dalla Tesla, noi presto lo faremo in Italia e, spero, in tutta Europa. Naturalmente sarà necessario realizzare un impianto produttivo, nell’ambito degli accordi con Enel e Class Onlus. Credo che nel momento in cui il sistema sarà reso operativo, si abbasserà di molto il prezzo della batteria dell’auto elettrica rendendo il costo di quest’ultima più competitivo rispetto a quello dell’auto termica.
Nella vostra mission assume un ruolo molto importante la comunicazione nei confronti del cittadino. Con quali strumenti arrivate a sensibilizzare le persone sulle vostre attività?
Fin dall’inizio della nostra attività abbiamo ritenuto che il modo migliore per rendersi visibili agli utenti, e trasmettere loro i messaggi che appartengono al nostro DNA, è quello di creare e partecipare ad eventi importanti ed autorevoli. Inoltre negli anni abbiamo selezionato alcune piattaforme di comunicazione, editato la nostra rivista bimestrale, creato la nostra web tv ed attivato rapporti con organi di informazione di settore.
Infine Presidente, per migliorare il vostro servizio, cosa chiederebbe al Governo, alle Amministrazioni locali e ai cittadini?
Al Governo chiederei la possibilità di essere ascoltati. Troppo spesso i funzionari dei Ministeri stilano leggi e decreti senza ascoltare, preventivamente, gli operatori e i diretti interessati.
Alle Amministrazioni locali chiederei di imitare quelle virtuose, che iniziano a essere tante in Italia. Non possiamo vivere in un Paese dove si passa da un 60% a un 20% di raccolta differenziata.
Al cittadino chiederei di essere consapevole che per vivere in un territorio sano, dal punto di vista ambientale, sono indispensabili infrastrutture che rendano possibile proprio quelle condizioni di sostenibilità.
E quegli impianti potrebbero essere realizzati anche nei pressi della propria casa.