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Chimica eccellenza del Made in Italy: sicura, sostenibile e competitiva

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di Fabrizia Sernia

(Rinnovabili.it) – L’industria chimica italiana ha fronteggiato la grande recessione ed oggi si colloca tra i primi tre settori italiani più competitivi della classifica stilata dall’Istat per cogliere la capacità di crescita nel medio periodo. Occorre tuttavia considerare che un settore così altamente strategico, leader in tutte e tre le componenti dello sviluppo sostenibile – benessere economico, sociale e ambientale –  può continuare a crescere e competere solo se alimentato e sviluppato in un orizzonte europeo. Così il presidente della Federchimica, Paolo Lamberti, è entrato subito nel vivo dei rapporti con l’Europa nella sua Relazione annuale dal titolo emblematico Europa:un orizzonte, non un confine, presentata ieri a Milano, al Piccolo Teatro, nel corso dell’Assemblea 2018.  E’ necessaria, ha affermato Lamberti, una condivisione puntuale di conoscenze legata ai risultati conseguiti  nel settore  della chimica da parte non soltanto dei singoli imprenditori, ma anche della politica – in Italia e in Europa -, delle istituzioni, delle associazioni, per valorizzare i cambiamenti fatti dall’industria chimica, nel corso degli anni, sia attraverso un’innovazione sempre più basata sulla ricerca nelle pmi, sia attraverso un’attenzione continua alla sostenibilità. Tutto ciò al fine di informare correttamente anche l’opinione pubblica sulle opportunità e i risultati di questo importante settore  produttivo.

Una relazione, quella del numero uno di Federchimica,  colma di spunti e riferimenti all’attualità politica ed economica del Paese, cui è seguita una tavola rotonda densa di stimoli con Antonio Tajani, presidente  del Parlamento Europeo, Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe e Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria.  “La chimica italiana è vivace, solida, offre lavoro di qualità e investe in innovazione e welfare ben più di altri comparti manifatturieri” ha affermato Lamberti. L’industria chimica in Italia  – con circa 2mila 800 imprese e oltre 107 mila addetti – “vale 55 miliardi di euro, di cui 30 miliardi destinati alle esportazioni, dove l’Europa pesa più del 61%. Inoltre, 20 miliardi di euro – (una cifra analoga a settori rilevanti come il mobile o le bevande),  pari a oltre il 35% della produzione totale, sono rappresentati da imprese a capitale estero. Queste ultime investono  ben 170 milioni in Ricerca e Sviluppo e alcune di esse hanno scelto l’Italia per i loro centri di ricerca di eccellenza mondiale”.

La chimica – emerge dai dati – conferma il buon andamento (+2% circa), con risultati ottimi  sul fronte dell’export (+4,2%), dove si è affermata come terzo settore esportatore italiano, con ritmi di crescita superiori ai principali produttori europei – Germania, Francia e Regno Unito -, migliorando la performance eccezionale del 2017. Se oggi  è terzo produttore europeo e nono nel ranking mondiale, l’industria chimica lo deve ai propri fattori qualitativi: “siamo oggi una delle punte avanzate del Made in Italy – ha proseguito Lamberti”.“Lo dimostrano i dati: l’ISTAT ci pone tra i primi tre settori del suo Indice di Competitività, che calcola la capacità di crescita nel medio periodo nel mercato globale, ovvero, la possibilità di offrire occupazione di qualità”.

 

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Parole chiave: ricerca, innovazione e tanta occupazione di qualità

 “I buoni risultati – ha  sottolineato il numero uno di Federchimica-  nascono dal nostro orientamento al mercato globale, con risultati di export anche migliori della media europea; da un’innovazione sempre più basata sulla ricerca e sempre più diffusa anche tra moltissime medie e piccole imprese; da tanti laureati tra i neoassunti, ormai quasi il 30%, ben 10 punti più della media nazionale; tantissima formazione in azienda per dare centralità alle persone”. Fa riflettere, a questo proposito, la nota dell’Ufficio Studi di Federchimica, che spiega come “la quota di dipendenti con contratto a tempo indeterminato sia pari al 96%, con un’incidenza di laureati  (19%) quasi doppia rispetto alla media manifatturiera e la più altra quota (oltre il 40%)di dipendenti coinvolti annualmente in attività di formazione”.

L’impegno su riduzione dell’impatto ambientale e sostenibilità

Accanto a opportunità di lavoro “solide e di qualità, unite a condizioni avanzate in termini di responsabilità sociale”, l’industria chimica “è impegnata da tempo  sia nella riduzione del proprio impatto ambientale – negli ultimi 30 anni , le emissioni in acqua e aria sono state abbattute di oltre l’80% e i gas serra del 55% –  sia nella messa a punto di soluzioni tecnologiche in grado di migliorare la sostenibilità ambientale” degli attori coinvolti (ndr. Centro Studi Federchimica). All’impegno profuso dal settore, basandosi su dati e ricerche scientifiche, deve tuttavia corrispondere un atteggiamento altrettanto scientificamente rigoroso, nelle decisioni maturate nei luoghi istituzionali. E’ urgente sfatare, in ogni sede, a partire da quelle delle Istituzioni europee,  falsi miti dovuti a scarsa o inesistente conoscenza scientifica e luoghi comuni, “ un rigurgito anti-scienza che spesso si declina con misure irresponsabili  come quelle assunte sugli OGM e sugli agro farmaci”, ove l’industria chimica è uno dei bersagli  preferiti delle fake news (www.fattinonfake.it), ha ribadito in più passaggi Paolo Lamberti. “I rigorosi processi stabiliti dalle norme europee devono tutelare non solo la salute e l’ambiente, ma anche le imprese che hanno investito ingenti risorse per rispettarli e per dimostrare la sicurezza e la validità dei loro prodotti”. L’Unione Europea “si è dotata negli anni della normativa chimica più restrittiva al mondo ed è bene che anche i cittadini ne siano consapevoli”, così come “ è interesse di tutti mantenere la manifattura in Europa e non spostarla in aree dove sicurezza, salute e ambiente sono meno tutelati”.

Il “pilastro” delle Istituzioni e l’urgenza di regole certe e norme chiare

chimicaSul perseguimento della sostenibilità, per il presidente della Federchimica è fondamentale il ruolo svolto dalle istituzioni. “ Nella Risoluzione adottata dall’ONU nel 2015 con la quale sono stati coinvolti i Governi nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, individuando 17 obiettivi irrinunciabili,  emerge chiaramente  la necessità che ai tre “pilastri  della sostenibilità – sociale, ambientale ed economico – si debba affiancare il pilastro delle istituzioni: da un lato perché hanno un ruolo diretto su molti obiettivi indicati dalle Nazioni Unite, dall’altro perché ad esse è affidato il compito di far sì che i tre pilastri si sostengano a vicenda”. I “Corpi intermedi”, come le associazioni industriali, possono svolgere un ruolo di cerniera, sia tutelando gli interessi e coinvolgendo i propri referenti sui temi della sostenibilità, sia collaborando con le istituzioni. Di qui, un appello. “Dopo decenni di sviluppo della cultura ambientale – ha aggiunto il numero uno di Federchimica -, l’Italia ha bisogno di un ‘ambientalismo del sì, ovvero di istituzioni che sappiano anche dire sì, non solo no. La sostenibilità vera, quella che crea, mantiene e manterrà il benessere diffuso ha bisogno di industria, soprattutto di quella difficile da realizzare, da imitare, basata sulla scienza  e sulla tecnologia, su impianti complessi e sicuri, su risorse umane qualificate e formate”. Parimenti è necessario l’impegno congiunto di istituzioni e imprese, con investimenti complessi che diano ritorni nel lungo periodo e che hanno bisogno di tempi brevi e certi per essere realizzati.  Su quest’ultimo aspetto, la ricetta per far sì che la chimica italiana  diventi polo di attrazione per nuovi investimenti: superare  “i fattori  nemici dell’industria”, ovvero  i tempi lunghi della burocrazia, il groviglio delle norme  e un quadro giuridico  che genera incertezza. Lo scenario tratteggiato, ha concluso  Lamberti, si realizza a patto che l’ambito nel quale l’industria chimica  continui a operare sia l’Europa “che, per noi, è un orizzonte, non un confine”. “Non è pensabile chiudere le frontiere, ristabilire le dogane, tornare ad una moneta nazionale, limitare con vari e vecchi artifizi il commercio intra-comunitario. Abbiamo bisogno di più Europa, anche se, certamente, di un’Europa migliore: chiediamo un atteggiamento propositivo anche su questo fronte e offriamo tutta la vitalità di un settore così strategico per l’industria manifatturiera e, in definitiva,  per tutto il nostro sistema economico”.

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