L'energia consumata dai network di super computer necessari a "sminare" la criptovaluta è pari a 46 TWh ogni anno.
La Rete di Bitcoin, nel suo complesso, è responsabile di un quantitativo di emissioni di CO2 tra i 22 e i 22,9 milioni di tonnellate annue
(Rinnovabili.it) – L’utilizzo della più famosa criptovaluta al mondo, i Bitcoin, causa emissioni di CO2 pari a quelle prodotte in un anno da città come Las Vegas, Vienna e Amburgo o da piccole nazioni come Giordania e Sri Lanka: a lanciare l’allarme è il primo studio sull’impronta di carbonio della moneta virtuale realizzato dalla Technical University di Monaco in collaborazione con il Massachussets Institute of Technology (Mit) pubblicata sulla rivista Joule.
Per generare e validare una transizione in bitcoin è necessaria la risoluzione di una sorta di complesso puzzle matematico tramite un sistema computazionale collegato al network globale: la capacità di calcolo richiesta dal processo supera ormai di molto le possibilità di singoli computer e gli operatori sono costretti a riunirsi in “gilde”, i cosiddetti mining pool, dove ognuno mette a disposizione le proprie risorse per poi spartirsi la compensazione in criptovaluta generata dalla risoluzione dei puzzle computazionali.
Questo processo richiede enormi quantità d’energia e diversi studi hanno provato a calcolare l’effetto reale della più famosa moneta virtuale: secondo i ricercatori della Technical University di Monaco, a novembre 2018, il sistema Bitcoin necessitava di 46 TWh annui.
L’impronta di carbonio è stata ottenuta geolocalizzando alcuni dei maggiori network di “minatori”: gli studiosi tedeschi e statunitensi hanno scoperto che gli operatori virtuali hanno la tendenza a unirsi a network vicini ai loro luoghi fisici di residenza. Seguendo gl’indirizzi IP pubblicati da due dei maggiori mining pool mondiali, gli studiosi sono riusciti a localizzare il 68% della Rete Bitcoin in Asia, il !7% in Europa e il 15% in Nord America. Combinando queste informazioni con quelle relative alle emissioni causate dalla generazione energetica delle singole regioni, i ricercatori hanno stimato che il Network globale dei Bitcoin sia causa dell’immissione in atmosfera di una quantità tra 22 e 22,9 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno.
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“Chiaramente ci sono altri fattori che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico – ha commentato Christian Stoll, direttore della ricerca presso la Technical University di Monaco e il Mit – Tuttavia, la carbon footprint stimata è grande abbastanza da aprire un dibattito sulla possibile regolamentazione della produzione di criptovaluta in regioni dove la generazione energetiche dipende ancora fortemente dal carbone”.
“Per migliorare l’equilibrio ecologico del sistema – ha aggiunto Stoll – si potrebbe pensare di collegare sempre più network di minatori a fonti di generazione rinnovabile, ad esempio”.
Il dibattito sulle criptovalute e sulle cosiddette blockchain è ancora aperto: dalla sua invenzione, nel 2009, il sistema Bitcoin ha conosciuto una crescita sorprendente fino al 2017, quando il cambio in valuta corrente era arrivato alla cifra record di 1 bitcoin per 20 mila dollari americani, per poi conoscere un crollo verticale negli ultimi 2 anni (ad oggi il cambio è fissato a 1 bitcoin per poco più di 8 mila dollari).
Una crescita che è coincisa con la sempre maggiore attenzione del pubblico verso la criptovaluta, l’emergere di altri sistemi volatili di transizione modellati sui bitcoin e il conseguente aumento di reti di “minatori” e di emissioni: lo studio pubblicato sulla rivista Joule ipotizza che comprendendo tutte le criptovalute, la quantità di emissioni stimate per i soli bitcoin potrebbe raddoppiare, toccando oltre 40 milioni di tonnellate annui.
A novembre scorso, un altro gruppo di ricercatori aveva calcolato che la quantità di energia necessaria a “sminare” 1 dollaro di bitcoin è quattro volte superiore a quella utile a estrarre lo stesso valore in rame e due volte superiore all’estrazione di 1 dollaro in oro o platino.
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