I vincitori del concorso organizzato da Inhabitat spaziano dalla biomimesi alle bioplastiche, dalla coltura acquaponica all'architettura per rifugiati
(Rinnovabili.it) – Alghe e fotosintesi al servizio della sostenibilità sociale, pelli ecologiche, bioplastica e prototipi ispirati alle meraviglie di Madre Natura. La biomimesi e il rapporto tra uomo e natura sono i protagonisti assoluti della Biodesign Competition organizzata da Inhabitat. Le proposte vincitrici guardano quindi al futuro del design e dell’architettura, inserendo i progetti nell’intersezione tra il dominio fisico, quello digitale e quello biologico. Una commistione tutta volta a diminuire, se non azzerare, l’impronta ambientale del nostro modo di abitare. Ecco i progetti più interessanti.
Chlorella Oxygen Pavilion
Il primo premio è andato al progetto di Adam Miklosi, che ha proposto un padiglione in legno completamente innervato di alghe, sia all’esterno che all’interno. Grazie alla fotosintesi l’aria viene arricchita di ossigeno e la CO2 consumata dalle piante. Le alghe sono inserite all’interno di un reticolo tubolare che segue la direzione del movimento del sole, garantendo la massima attività di fotosintesi.
Le fattorie urbane ripensano la collettività
Ragiona su scala di quartiere il progetto di Edwin Indera Waskita. La sua Self-Healing House mira ad approfondire il valore della sostenibilità sociale e a sviluppare le interazioni tra abitanti, piante e animali nelle comunità locali. Pensata per i quartieri più periferici, in sostanza questa proposta collega tra loro diverse abitazioni trasformandole in fattorie urbane collettive, rivestite da una sorta di “pelle ecologica” di muschio e piante che rappresentano una fonte di cibo e acqua per gli animali.
Il futuro è l’acquaponica
Si chiamano Aquaponic Future Houses e consistono in abitazioni a tre piani realizzate con un tipo di bioplastica biodegradabile, di origine vegetale e stampata in 3D. Ogni modulo incorpora un sistema chiuso di coltura acquaponica, dove le piante nutrono i pesci, i pesci le piante. Gli abitanti hanno così a disposizione sia cibo autoprodotto sia una qualità dell’aria migliorata.
Un Oculus per i rifugiati
Oculus è un prototipo di rifugio di emergenza la cui struttura unisce la biomimesi all’architettura tradizionale siriana, poiché si ispira alle case-alveare mediorientali che si basano a loro volta su una particolare geometria presa in prestito dal lavoro delle api. Realizzato da 4 studenti della Chalmers University of Technology svedese, è stata pensata per uno dei più popolati campi per rifugiati al mondo: quello di Zaatari, in Giordania.