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Bioarchitettura, così Nature House vince il freddo dell’Artico

Una cupola geodetica la protegge dai venti, mentre l'edificio in terra cruda ottimizza le prestazioni energetiche e due orti (di cui uno sul tetto) producono quasi tutto il cibo necessario

Bioarchitettura, così Nature House vince il freddo dell’Artico

 

(Rinnovabili.it) – Quando la famiglia Hjertefølger aveva inaugurato Nature House, 3 anni fa, a molti la loro scommessa sembrava difficile da vincere. Vivere in modo sostenibile e pienamente autosufficiente in una casa di tre piani e 200 mq oltre il circolo polare artico, più precisamente sull’isola di Sandhornøya, nell’estremo nord della Norvegia, in condizioni climatiche più che proibitive. Possibile? Sì, grazie all’adozione delle più efficienti tecniche di bioarchitettura.

L’aspetto più appariscente – e fondamentale per garantire le prestazioni dell’edificio – è la spettacolare cupola geodetica che avvolge Nature House. Prodotta da Solardome e assemblata in appena 3 settimane, è una struttura leggera composta soltanto da alluminio e vetro che rappresenta la pelle esterna della casa, fondamentale per bloccare i gelati venti artici, resistere alle nevicate e permettere una corretta illuminazione massimizzando al contempo il guadagno di calore. Nella cupola sono integrati pannelli solari che soddisfano il fabbisogno energetico di Nature House.

 

Un altro compito fondamentale della cupola, che ha un diametro di 15 metri ed è alta 7, è ridurre al minimo la manutenzione della casa, che è costruita interamente con materiali riciclati e di recupero: sabbia, argilla, acqua e altro materiale organico sono gli ingredienti per la terra cruda che compone Nature House. Allo stesso modo, il microclima creato all’interno della cupola permette di coltivare sia nel giardino attorno alla casa di 80 mq, sia nell’orto posizionato sulla sommità (altri 100 mq).

Nonostante l’abitazione sia immersa nella notte artica per 3 mesi di fila ogni anno, la cupola permette di coltivare ortaggi e frutta per 5 mesi in più di quanto lo permetterebbero le normali condizioni esterne. Gli Hjertefølger riescono così a auto produrre quasi tutto il cibo di cui necessitano: nell’orto crescono mele, ciliegie, prugne, albicocche, kiwi, uva, cetrioli, pomodori, zucca e meloni. Un sistema di recupero e riciclo delle acque reflue permette di reimpiegarle per fertilizzare e irrigare le piante.

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