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“Il sole in scatola”: dal MIT la batteria solare a silicio fuso

batteria solare a silicio fuso
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Mix tecnologico e alte temperature per la batteria solare a silicio liquido

(Rinnovabili.it) – I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) continuano a lavorare su nuove forme di accumulo dell’energia elettrica in grado di stabilizzare la produzione delle fonti rinnovabili non programmabili. L’ultima proposta in tal senso, uscita dai laboratori statunitensi, si avvicina all’obiettivo attraverso un approccio completamente nuovo. Parliamo di TEGS-MPV (Thermal Energy Grid Storage-Multi-Junction Photovoltaics), concept di “batteria solare” che mixa differenti soluzioni tecnologiche come l’accumulo a sali fusi del solare termodinamico e il fotovoltaico multi-giunzione. Il sistema sarebbe in grado di immagazzinare il surplus d’energia elettrica rispetto alla domanda, immagazzinandola sotto forma di calore in gradi serbatoi contenenti silicio fuso incandescente, e sfruttare la luce di questa incandescenza – quando necessario – per riottenere elettricità attraverso il fotovoltaico.

L’idea è ancora tutta da sperimentare, ma i ricercatori sono convinti che il loro design possa essere non solo più conveniente delle batterie agli ioni di litio, ma anche costare quasi la metà degli impianti idroelettrici a pompaggio (ad oggi la forma più economica di accumulo elettrico su scala di rete).

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Come funziona la batteria solare del MIT? Il sistema consisterebbe in un grande serbatoio di 10 metri di larghezza, realizzato in grafite, perfettamente isolato e contenente silicio liquido tenuto a una temperatura “fredda” di quasi 1.900° C. Una serie di tubi, esposti a elementi riscaldanti, collegano questa struttura di accumulo a un secondo serbatoio definito “caldo“.

Quando il surplus di energia elettrica in rete entra nel sistema, viene convertito in calore nei tubi di collegamento tra le due cisterne sfruttando l’effetto Joule. Contemporaneamente, il silicio liquido viene pompato dal serbatoio freddo a quello caldo e nel tragitto assorbe l’energia termica scaldandosi fino a 2.400° C. Quando è la domanda di elettricità della rete torna alta, il semimetallo – che a quelle temperature è così caldo da divenire luminoso – è spinto attraverso una sorta di motore dove le celle solari sfruttano la sua luce bianca per produrre elettricità.

“Uno dei nomi affettuosi con cui le persone hanno iniziato a chiamare il nostro concept è ‘sole in scatola‘, coniato dal mio collega Shannon Yee al Georgia Tech”, spiega Asegun Henry, Professore associato presso il Dipartimento di ingegneria meccanica del MIT. “È fondamentalmente una fonte di luce estremamente intensa contenuta in una scatola che intrappola il calore”.

Il team che sta lavorando al progetto sostiene che uno di questi sistemi TEGS-MPV potrebbe essere sufficiente per alimentare 100.000 abitazioni, a costi contenuti e senza limitazioni geografiche. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Energy and Environmental Science.

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