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Le alternative alla plastica: ecco i materiali che premiano l’ecologia

Ripensare la filera della plastica aprendo le porte a materie prime vegetali e prodotti completamente biodegradabili. Ecco come l'innovazione si è fatta strada nel mercato dei polimeri

Le alternative alla plastica: ecco i materiali che premiano l’ecologia
Foto di Volodymyr Hryshchenko su Unsplash

Quali sono le più promettenti alternative alle plastica?

(Rinnovabili.it) – Il Pianeta è bel nel mezzo di un’epidemia di rifiuti plastici. I ricercatori stimano che dai primi anni ’50 a oggi siano stati prodotti più di 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. E circa il 60 per cento di questa produzione è finito in discarica, riversato nell’ambiente o bruciato illegalmente. Il problema non è il materiale in sé. Alcune delle applicazioni pratiche di questi polimeri sono fondamentali e irrinunciabili, basti pensare ai dispositivi medici. Il vero problema, oltre alla cattiva gestione dei rifiuti, è che molti degli attuali usi della plastica non sono realmente necessari, specialmente nei prodotti monouso che negli ultimi anni hanno preso il posto di elementi tradizionali perfettamente validi. Il riciclo di questi scarti, attualmente fermo al 9% a livello mondiale, non è sempre la soluzione più adatta. Il problema richiede una riprogettazione dell’intera filiera, aprendo le porte ad alternative alla plastica fossile e a nuovi materiali bio che riducano a monte il problema dell’inquinamento. Opzioni valide sotto il profilo commerciale, oltre ai classici alluminio o vetro,  esistono già e Rinnovabili.it, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, ha provato ad analizzare alcuni degli esempi più interessanti.

Polimeri naturali e materiali organici

L’età moderna non ha inventatonulla: i materiali organici derivati da piante o animali sono stati alla base dell’evoluzione umana, tuttavia negli ultimi anni abbiamo perfezionato i metodi di lavorazione dei polimeri naturali come la lignina, la cellulosa, la pectina e la chitina che, a differenza dei polimeri sintetici o semisintetici, si biodegradano molto rapidamente.

Oggi, assieme ai ben noti cotone e lino, troviamo prodotti commerciali a base di bamboo, coir – fibra grezza estratta dal guscio esterno delle noci di cocco – sisal  ottenuta dal tessuto connettivo di dell’Agave – o Piña, la fibra ricavata dagli scarti della lavorazione degli ananas. Accanto a quelli vegetali troviamo i polimeri ottenuti dalle proteine animali come cheratina, fibroina, caseina: lana e seta hanno sono i prodotti più diffusi, ma negli anni si stanno sperimentando soluzioni alternative come il QMilch, seta ottenuta dalle fibre di latte. Un caso a sé lo costituiscono le fibre ottenute dai funghi: il recente sviluppo dei miceli per produrre strutture relativamente robuste si sta facendo strada in settori come quello degli imballaggi o dell’isolamento edilizio.

Biocompositi termoplastici e biopolimeri e sintetici

Negli ultimi anni si è registrato un crescente interesse nello sviluppo di polimeri con credenziali “più verdi”. Ciò ha portato a un maggiore utilizzo di materie prime rinnovabili basate sulla biomassa per dar vita a materiali “bio”, etichetta che è stata assegnata in maniera indiscriminata a prodotti compostabili a livello industriale, compostabili a temperatura ambiente o completamente biodegradabili. La principale molecola impiegata dall’industria della bioplastica è stata per anni l‘amido, polisaccaride contenuto in riso, mais, grano, patate e manioca. Ad alte temperature si può produrre amido termoplastico con l’aggiunta di plastificanti come sorbitolo o glicerina, e combinarlo con fibre di lignina e cellulosa per migliorarne le proprietà. La bioplastica così ottenuta può essere facilmente compostata a livello industriale e si biodgrada più veolcemenete dei polimeri fossili. D’altro canto può rimanere per diversi anni nell’anbiente acquatico prima di essere completamente distrutta. È possibile produrre materiali termoplastici anche da fonti naturali diverse dall’amido, tra cui l’alginato, estratto dalle alghe brune, il chitosano ottenuto dalla chitina presente, ad esempio, nell’esoscheletro di insetti e crostacei, o la cutina, un bio-poliestere ceroso che si trova nella cuticola delle piante (es. nella buccia di pomodoro). Queste opzioni presentano il vantaggio rispetto all’amido di non essere in diretta con la produzione alimentare.

Un’ampia varietà di materie prime vegetali e animali può essere utilizzata per sintetizzare polimeri a base di biomassa. I più comuni sono l’Acido Polilattico (PLA) e la famiglia dei poli-Idrossialcanoati (PHA), prodotti attraverso fermentazione batterica a partire da diverse fonti di carbonio (generalmente zuccheri o lipidi). Le risorse base possono essere rifiuti agricoli o l’organico domestico. Il PLA possiede eccellenti proprietà meccaniche di rigidità e resistenza all’urto che lo rendono simile al PET e utile nel settore del packaging. I PHA possono presentare proprietà termoplastiche ed elastiche ma sono ancora tecnicamente da perfezionare.