Ma le rinnovabili le vogliamo davvero? È questa domanda, sicuramente provocatoria, del Prof. Cerulli Irelli che più di ogni altra accademica affermazione racchiude quanto emerso dalla Conferenza sul diritto dell’energia organizzata dal GSE che si è tenuta a Roma giovedì e venerdì. Una domanda che nasce dall’analisi dello stato dell’arte delle fonti rinnovabili e soprattutto della normativa vigente.
Tutti i relatori presenti alla conferenza concordano nell’individuazione dei problemi legati allo sviluppo degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, vale a dire: confusione nel riparto di competenze, confusione normativa, mancanza di pianificazione.
La confusione nel riparto di competenze tra Stato e Regioni sarebbe dovuta all’inserimento tra le materie concorrenti ex art. 117 Costituzione, quella relativa a produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, di conseguenza lo Stato dovrebbe dettare i principi generali cui le Regioni devono attenersi nel legiferare in materia di energia. Il primo dubbio sorge dalla parola nazionale contenuta dall’art. 117 della Costituzione. Inoltre le Regioni sono vincolate dalle linee guida che formalmente non sono un atto legislativo o regolamentare, ma mera norma tecnica. In tale quadro è intervenuta più volte la Corte Costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità di tutte le leggi regionali che hanno tentato di dettare norme in materia di energia da fonti rinnovabili prima (ma anche dopo) dell’emanazione delle linee guida. In quest’ottica la Consulta ha dichiarato la natura sostanzialmente regolamentare delle linee guida sebbene formalmente non lo sia.
Riguardo alla confusione normativa basti pensare che le linee guida previste dal D.lgs 387 del 2003 sono state emanate solo nel 2010, confondendo anche le Regioni che intendevano sistemare la situazione energetica nel proprio territorio. Altro elemento distorsivo è la c.d. autorizzazione unica che di fatto prevede 19 procedimenti diversi in relazione agli interessi coinvolti e che in realtà non semplifica assolutamente l’iter di autorizzazione per la realizzazione di impianti da energie rinnovabili. È stato introdotto anche per le autorizzazioni in materia di FER, lo strumento della conferenza di servizi nella quale si esprimono tutti i soggetti interessati; ma come faceva notare il Prof Cerulli Irelli, alla conferenza si applicano le norme di cui alla legge sul procedimento amministrativo (L.241/90) nelle quali si prevede che alcuni interessi pubblici (es. ambiente, salute) sono preminenti rispetto ad altri e se i portatori di questi interessi esprimono un diniego espresso in sede di conferenza, il diniego non può essere mediato. In tali casi si richiede l’intervento del Consiglio dei Ministri; ma ciò è mai successo? Pertanto, se un procedimento di autorizzazione per la realizzazione di un impianto da fonti rinnovabili implicasse il coinvolgimento di uno di quegli interessi, il procedimento rischierebbe di fermarsi definitivamente.
Un altro aspetto problematico, ormai noto, è quello della mancanza di pianificazione. A differenza di altri paesi europei (come Francia, Spagna, Germania) l’Italia non ha una programmazione energetica nazionale. Il nostro ordinamento riconosce solo piani di settore; il PAN (Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili) è soltanto una ricognizione dell’esistente ed ha il compito di fissare degli obiettivi in conformità a quanto stabilito dal “pacchetto Clima energia” in merito allo sviluppo delle fonti rinnovabili.
Come affermato dal Prof De Leonardis l’idea di una programmazione energetica nazionale era più diffusa e condivisa negli anni ’70 legata anche all’idea di sviluppo di centrali di produzione di energia nucleare. Quando è venuta meno la produzione di energia da centrali nucleari è venuto meno anche l’interesse ad una programmazione.
Concetto diametralmente opposto alla programmazione è quello di liberalizzazione: l’idea di un mercato energetico concorrenziale contrasterebbe, secondo i sostenitori della liberalizzazione, con un sistema programmato che implicherebbe maggiore burocrazia. Si è cominciato quindi a parlare di “Strategia”; infatti si è creata nel 2008 la “Strategia Energetica Nazionale” con lo scopo di diversificare le fonti di energia, realizzare nuovamente impianti di energia nucleare e incrementare la sostenibilità degli impianti. Con l’esito referendario di giugno scorso questa strategia è venuta meno. Attualmente esistono soltanto piani di settore (es. Programma rete gas, Ripartizione del carico di energia tra le Regioni), ma manca un linguaggio comune a tutte le tipologie di produzione energetica che eviterebbe la Babele dell’energia.
È evidente quindi che la scelta di un Paese di convertirsi all’energia verde è una scelta politica e che gli strumenti tecnici e regolamentari per farlo non sono impossibili da applicare.