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Upstream, primo incontro per il PiTESAI mentre infuria la polemica

L’attuale formulazione normativa lascia parecchi dubbi sul decommissionig delle piattaforme petrolifere. Attività che precederebbe con o senza l’approvazione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee

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Ancora troppe incertezze costellano la politica energetica nel settore upstream

(Rinnovabili.it) – Passi avanti verso il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), lo strumento normativo che dovrà regolare il settore upstream nazionale. In questi giorni, fa sapere il dicastero dello Sviluppo Economico, si è tenuta la prima riunione tecnica interministeriale finalizzata alla predisposizione del Piano con l’obiettivo di approvarlo entro i prossimi 18 mesi. Previsto dalla Legge 11 febbraio 2019, n.12, l’entrata in vigore del PiTESAI dovrà concludere il periodo di moratoria imposto ai permessi vigenti di prospezione o di ricerca di idrocarburi, su terraferma e in mare, individuando le zone in cui effettuare le attività da parte degli operatori.Nelle aree non compatibili – si legge nella nota stampa ministeriale – il Mise rigetterà le istanze relative ai procedimenti sospesi e revocherà i permessi di prospezione e di ricerca in essere”. Stessa sorte per le istanze relative al rilascio delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi, il cui permesso non sia stato autorizzato entro la data di adozione del Piano. “Nelle aree in cui le attività di coltivazione risultino incompatibili, le concessioni manterranno la loro efficacia fino alla scadenza e non saranno prorogate”.

 

Il provvedimento dovrebbe dunque fornire un preciso quadro di riferimento per la programmazione delle attività upstream indicando anche i tempi e modi di dismissione e ripristino “dei luoghi da parte delle relative installazioni che abbiano cessato la loro attività”. Ma le nuove norme si tirano dietro diverse criticità, come fa notare il Coordinamento NO TRIV, a partire dall’uso di formulazioni poco chiare dal punto di vista interpretativo.

 

Per il Coordinamento è un elemento fortemente criticabile voler raccordare le Linee Guida del decommissioning con il comma 3 dell’art. 11-ter della recente Legge n.12 dell’11 Febbraio 2019 che recita

Il PiTESAI è adottato previa valutazione ambientale strategica e, limitatamente alle aree su terraferma, d’intesa con la Conferenza unificata. Qualora per le aree su terraferma l’intesa non sia raggiunta entro sessanta giorni dalla prima seduta, la Conferenza unificata è convocata in seconda seduta su richiesta del Ministro dello sviluppo economico entro trenta giorni, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il termine di centoventi giorni dalla seconda seduta, ovvero in caso di espresso e motivato dissenso della Conferenza unificata, il PiTESAI è adottato con riferimento alle sole aree marine.

 

“In ogni caso, con o senza approvazione entro i termini del PiTESAI per le aree marine, nulla potrebbe essere d’intralcio all’applicazione delle Linee Guida ed ai progetti di riutilizzo delle piattaforme, perché in ultima istanza a decidere del post-vitam delle piattaforme sarebbero soltanto i Ministeri competenti”, scrivono i NO TRIV.

 

E anche sul destino delle piattaforme da dismettere rimangono parecchi dubbi. “A giudicare dai contenuti della bozza, nell’uovo pasquale del Decreto, se verrà confermato l’articolato reso disponibile per la consultazione, potremmo trovare una sgradita sorpresa: il riutilizzo delle piattaforme per la costruzione di minirigassificatori”. Una possibilità peraltro già ventilata dal settore che potrebbe sfruttare, anche in questo caso, un’incertezza interpretativa inserita nel provvedimento. La chiave sta in quel “etc.” contenuto nell’art.9, comma 1, secondaa linea, che merita di essere riletto:

“Il progetto di riutilizzo deve prevedere almeno: ….. Analisi del potenziale di produzione nel sito oggetto di interesse relativamente alla/alle funzione/i prescelte all’interno del progetto (ad esempio: itticoltura, agricoltura, energia marina,etc.)”.

 

Senza contare  – aggiungono gli attivisti – che dare la possibilità ai titolari delle concessioni di puntare ad eventuali usi alternativi delle piattaforme, eviterebbe per gli stessi infatti il peso dei costi di smantellamento, bonifica e stoccaggio.