Bruxelles vuole smarcarsi dal gas di Putin. Ma le ricadute di un capitolo energia nel TTIP sono nulle o negative per l’ambiente e le rinnovabili
(Rinnovabili.it) – L’Unione europea sta aumentando la pressione su Washington per includere un capitolo energia nel TTIP, il controverso accordo commerciale USA-UE in fase negoziale dal 2013. Lo rivela il Wall Street Journal, sottolineando che l’inclusione di un energy chapter nel trattato bilaterale più grande della storia permetterebbe agli Stati Uniti di ricominciare ad esportare gas naturale (ottenuto con il fracking) e petrolio. Combustibili fossili che rappresentano un boccone prelibato per l’Unione Europea, intenzionata a ridurre la dipendenza dalla Russia anche a costo di accelerare il cambiamento climatico.
Maroš Šefčovič, vice presidente della Commissione Europea e capo dell’Unione dell’Energia, ha detto al WSJ che facilitare i flussi di gas naturale e petrolio greggio tra Stati Uniti e Vecchio continente è uno degli obiettivi di Bruxelles e delle società d’investimento. Gli Stati Uniti hanno finora resistito all’inclusione di un capitolo sull’energia nel TTIP, ma il boom dello shale gas e le frizioni tra Unione Europea e Russia hanno portato il tema alla ribalta nei negoziati.
«Crediamo che un capitolo energia nel TTIP potrebbe dare un contributo molto importante per gli scambi commerciali, ma anche per la sicurezza energetica dell’Unione europea», ha detto Sefcovic.
In realtà, le affermazioni del capo dell’Unione energetica sono contraddette da uno studio della Commissione Industria (ITRE) del Parlamento Europeo. La ricerca, resa pubblica non più di quattro mesi fa, documentava che il Vecchio continente non avrebbe registrato con il TTIP benefici significativi in termini di sicurezza energetica. L’assenza di costosi terminali che possano agevolare la messa in circolo dello shale gas, una volta approdato sulle coste europee, farebbe sì che dall’attuale miliardo di metri cubi quotidiani, le forniture crescerebbero al massimo dell’10%. Per le imprese statunitensi, chiarisce il paper, è più profittevole il mercato asiatico e pacifico, perché i prezzi sono più alti che in Europa.
Gli USA hanno un blocco delle esportazioni attivo dagli anni ’70, ma la crescente produzione interna ha fatto sì che la Energy Information Administration abbia dichiarato che il Paese dovrebbe diventare esportatore netto di gas nel 2017. Negli ultimi anni, il Dipartimento dell’Energia ha concesso licenze a lungo termine per l’esportazione di gas: ad oggi, questa parziale apertura consente alle compagnie di vendere 240 milioni di metri cubi di gnl al giorno. L’industria è ingolosita dalle prospettive di un accordo di libero scambio con l’Europa. Significherebbe aprire nuovi mercati e poter aumentare i prezzi. Šefčovič non ha mancato di sottolinearlo: «Siamo il più grande mercato del mondo. Siamo il più grande importatore di energia. Quindi penso che siamo una destinazione molto importante per gli esportatori».
La ricerca di fornitori alternativi a Putin è un chiodo fisso dell’Unione, anche se questo significa aprire il Mediterraneo a un traffico di navi cariche di idrocarburi provenienti dall’altro versante dell’Atlantico. Le ricadute ambientali non sono trascurabili, in termini di inquinamento e rischio di incidenti. E anche il mercato delle rinnovabili potrebbe essere azzoppato da questa politica tutta orientata allo shale gas. Per quanto riguarda le energie pulite, il rapporto della Commissione ITRE suggerisce che il commercio delle tecnologie potrebbe essere amplificato dalla rimozione dei requisiti di contenuto locale (LCR). Si tratta di normative che prevedono l’acquisto o l’utilizzo in loco di beni prodotti in una data area geografica, in modo da favorire le imprese del posto. Con la firma di un trattato di libero scambio come il TTIP, tutte queste attenzioni per l’economia locale andrebbero in fumo, facilitando le multinazionali che producono a basso costo, e costringendo il mercato del lavoro nel settore a rivedere standard e garanzie.