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Entro fine 2024 l’UE uscirà formalmente dal Trattato sulla Carta dell’Energia

Trattato Carta dell’Energia: ufficiale, l’UE dice addio
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Il Trattato sulla Carta dell’Energia “non è più in linea” con le politiche UE sulla transizione

L’Unione Europea si ritira ufficialmente dal Trattato sulla Carta dell’Energia. I Ventisette hanno dato luce verde all’intesa, già approvata ad aprile dal Parlamento europeo, con un compromesso che lascia ampia flessibilità ai singoli paesi. L’addio si consumerà entro fine anno, durante la conferenza dei partecipanti all’Energy Charter Treaty, quando sarà votata la riforma del trattato in discussione da diversi anni.

Un percorso tortuoso

“Questo trattato non è più in linea con l’accordo di Parigi e con le ambizioni dell’UE riguardo alla transizione energetica”, sottolinea il Consiglio in una nota. Per arrivare all’ok, però, i Ventisette hanno deciso di permettere agli stati membri che lo desiderano di votare a favore o di astenersi sull’ammodernamento del Trattato sulla Carta dell’Energia.

L’uscita dell’UE (e dell’Euratom) dal trattato è stata ostacolata da dissensi interni, che ruotavano proprio attorno alla posizione da assumere rispetto alla riforma. Paesi come Francia, Germania, Olanda e Polonia premevano per abbandonare immediatamente l’accordo. Altri, come Ungheria e Cipro, volevano che l’UE restasse. Alcuni paesi preferivano invece soluzioni intermedie, con la partecipazione attiva dell’UE al processo di riforma e negoziati per l’uscita da avviare solo in un secondo momento.

“L’adozione di oggi rappresenta la pietra miliare finale nella tabella di marcia belga che abbiamo elaborato per il Trattato sulla Carta dell’Energia. Basandosi sulle basi gettate dai nostri predecessori svedesi, la presidenza belga ha lavorato instancabilmente per sbloccare questa complessa situazione di stallo e trovare un equilibrio accettabile e utile per tutti”, ha commentato Tinne Van der Straeten, ministro belga dell’Energia.

Le clausole indigeste del Trattato sulla Carta dell’Energia

La Carta dell’Energia è un accordo multilaterale per la cooperazione nel settore energetico. Creato all’inizio degli anni ’90 ed entrato in vigore nel 1998, era pensato per proteggere la sicurezza energetica e favorire la collaborazione transfrontaliera – soprattutto sui combustibili – in un preciso momento storico, all’indomani della caduta del muro di Berlino. Tra l’altro, dando alle multinazionali molti strumenti per imporsi sugli stati.

Uno dei tasselli principali dell’Energy Charter, infatti, è la clausola ISDS sulla risoluzione delle controversie in materia di investimenti e stato (Investor-State Dispute Settlement). Questo strumento permette alle aziende di tutelare i propri interessi se ritengono che siano minacciati o lesi dalle politiche approvate dagli stati, attraverso il ricorso ad arbitrati privati.

Negli anni gli arbitrati hanno dimostrato di pendere quasi costantemente dalla parte delle multinazionali, con l’effetto di dare un potere di ricatto spropositato al settore privato, specie nei confronti di paesi con economie meno avanzate. Le compagnie fossili, ad esempio, si sono potute ripetutamente opporre alle politiche di decarbonizzazione. Chiedendo risarcimenti miliardari, pari anche ad alcuni punti di pil de paesi dove operano. I cui governi si sono spesso trovati tra l’incudine e il martello.

Non è l’unica clausola problematica. A rendere più tortuoso il percorso di uscita dal trattato per l’UE c’è la cosiddetta clausola di caducità. Le aziende, in base alle regole attuali, possono citare in giudizio gli stati anche 20 anni dopo la loro uscita dall’accordo. Come è accaduto all’Italia, che come singolo paese ha lasciato l’Energy Treaty nel 2016 ma è stata portata in tribunale nel 2017, perdendo la causa 5 anni più tardi. Per questa ragione, alcuni paesi membri UE premevano per lasciare il trattato solo dopo averlo riformato, soprattutto riguardo a questa clausola.

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