Diffusione delle Rinnovabili e Cultura della Transizione, alla ricerca di un legame
Esiste una relazione tra la crescita delle fonti rinnovabili e la comunicazione sul tema? E che rapporto ha la formazione universitaria con la progressione della transizione energetica a livello nazionale? A rispondere a queste domande è un nuovo studio redatto da Energy & Strategy, osservatorio del Politecnico di Milano e commissionato da RWE, multinazionale energetica oggi tra i principali attori nel mercato delle FER in Italia, nell’ambito del suo programma di divulgazione della cultura della Transizione Energetica “RinnovaMente”.
L’analisi, a cura del Professor Davide Chiaroni, offre uno spaccato unico del grado di interesse pubblico in materia di transizione energetica nel Bel paese così come in Francia, Germania e Spagna. Con un occhio aperto anche alla qualità e attrattività della formazione scientifico-tecnologica, con l’obiettivo di capire se e quanto la “sensibilità culturale” incida sul percorso di decarbonizzazione.
La crescita delle rinnovabili elettriche
Il dato di partenza è sicuramente quello della generazione elettrica verde. Il 2023 è stato un anno abbastanza soddisfacente per le fonti rinnovabili europee. I dati delle associazioni di settore riportano una crescita di più 17 GW eolici e un più 55,9 GW fotovoltaici nell’UE-27. Ma se guardiamo più da vicino i quattro paesi europei, le differenze nel mix elettrico saltano subito all’occhio. Lo scorso anno in Italia le fonti rinnovabili hanno soddisfatto il 37% del fabbisogno elettrico nazionale, una quota non solo parecchio contenuta ma decisamente più bassa della frazione verde di Germania (59,7%), Spagna (53,3%) e più in generale della media comunitaria.
Uno dei tasti più dolenti per il Bel paese è proprio l’eolico. Negli ultimi anni il segmento è cresciuto pochissimo in termini di nuova potenza installata, e il dato di capacità pro capite (W/ab.) oggi ci vede ultimi con grande distacco nella classifica a quattro. Ben 209,5 W per abitante contro gli 830,9 W/ab. della Germania, i 360,1 W/ab. della Francia e i 629,4 W/ab. della Spagna.
Non va meglio con il fotovoltaico. Nel 2023, il mercato solare italiano ha cavalcato l’onda generata dagli shock politici ed energetici crescendo in maniera robusta. Tuttavia l’immobilismo del periodo pre crisi energetica ha avuto precise conseguenze sulla capacità solare in esercizio. In una comparazione dei dati pro capite, i 502 W fotovoltaici per abitante dell’Italia non reggono il confronto con i 985,8 W/ab. tedeschi. E nel 2023 si sono fatti superare anche dal dato spagnolo, di 538,9 W/ab. Solo la Francia riesce a fare peggio con 288,4 W/ab.
Sappiamo che sui risultati giocano un ruolo ragioni storiche come le difficoltà autorizzative e le incertezze normative, così come le contingenze della crisi energetica-finanziaria. Ma non si tratta degli unici fattori da considerare. Esistono anche ragioni apparentemente meno visibili ma con un peso specifico non trascurabile. Ragioni che affondano le radici nella contezza e nella partecipazione pubblica ai grandi cambiamenti in atto.
Dibatto pubblico: le rinnovabili nei giornali e nelle ricerche online
Per analizzare il grado di consapevolezza sul tema della transizione energetica e valutarne la possibile connessione con lo scenario evolutivo energetico, il lavoro dell’Energy & Strategy del PoliMi ha passato al setaccio articoli di giornale e ricerche online del periodo 2019-2023 in tutti e quattro i paesi sopracitati. Parliamo di un totale di 183.513 pubblicazioni nel periodo di riferimento, di cui 98.430 nel biennio 2022-2023.
Cosa è emerso? Che il numero di articoli dedicati alle fonti rinnovabili sulle testate giornalistiche di Francia e Germania oscura quasi completamente, in termini numerici, quelli di Italia e Spagna. In termini percentuali abbiamo rispettivamente un 40% e un 43% contro solo il 10% e 7% negli anni dal 2019 al 2023. Un gap profondo che è non particolarmente migliorato nell’ultimo biennio. Gli articoli di giornale dedicati a FER ed affini di Francia e Germania hanno continuato ad essere la maggioranza (rispettivamente con un 38% e 44%), mentre quelli spagnoli e italiani – nonostante l’imperante crisi energetica e il bisogno di nuove soluzioni – sono rimasti al 7% e 11% del totale.
A far riflettere è anche e soprattutto il numero di articoli dedicati al fotovoltaico: dei 78.113 pezzi totali pubblicati dalle testate nel periodo di riferimento solo il 10% apparteneva all’Italia, nonostante le grandi opportunità che il nostro Paese offre sul fronte dell’irraggiamento.
In altre parole il tema delle FER non solo ha trovato ampio spazio nel dibattito pubblico francese e tedesco ma ha anche accompagnato in maniera progressiva la crescita delle energie verdi. La Spagna recupera, però, nelle ricerche on line: quando si tratta di energie rinnovabili e parole affini i cittadini spagnoli sono decisamente più attivi sulla rete, posizionandosi addirittura primi per interesse davanti ai francesi e ai tedeschi. L’analisi è stata condotta sul database Google Trends considerando le settimane in cui, nel periodo di riferimento, le fonti rinnovabili hanno registrato un interesse superiore alla media. Si scopre così che il numero medio di settimane in cui parole collegate al tema dell’energia pulita sono andate in tendenza è addirittura di 125 volte in Spagna, contro un 103 in Francia e 62 in Germania.
E gli italiani? Nel Paese il coinvolgimento appare ancora una volta limitato e per lo più legato alle contingenze della crisi. Basti pensare che 18 delle 23 settimane in cui il tema delle green energy è diventato di rilievo nelle ricerche online nazionali, coincidono con il periodo più esasperante del caro bollette. Scendendo di dettaglio sono 24 le settimane in cui la parola “fotovoltaico” e simili sono andate in tendenza nelle ricerche italiane su Google. Le settimane lievitano 129 per gli spagnoli, 76 per i francesi, 29 per i tedeschi.
I rilievi effettuati forniscono informazioni importanti su quanto il tema della transizione energetica sia uscito dalla dimensione di “trend” per gettare radici nella società. Perlomeno in Spagna, Francia e Germania, dove esiste una dimensione culturale che corre accanto allo sviluppo energetico verde e che si muove tra sensibilità personale e presenza costante delle tematiche sui giornali. In Italia invece si fa ancora fatica, la comunicazione giornalistica è claudicante e l’attenzione dei cittadini decisamente più contenuta e altalenante.
Il ruolo della formazione
Questo filo rosso esistente tra velocità della transizione energetica e qualità del dibattito pubblico quotidiano non è l’unica relazione interessante finita sotto la lente di Chiaroni. La ricerca ha portato alla luce anche il ruolo della formazione, in particolare quella universitaria, come abilitatore del cambiamento. Nel dettaglio, lo studio ha valutato l’attività di ricerca, insegnamento e divulgazione su temi della sostenibilità ambientale e della decarbonizzazione scoprendo che, sebbene il Belpaese possa contare su competenze di alta qualità, anche in questo caso la strada è in salita. Rispetto agli altri Paesi le discipline scientifico-tecnologiche e i relativi corsi di studio hanno, infatti, un appeal minore sui giovani italiani. A livello nazionale i laureati in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche non solo sono pochi rispetto ai tre paesi presi in considerazione e alla media UE, ma crescono anche poco. Dal 2017 al 2021 il Belpaese è passato da poco meno 15 laureti STEM per mille abitanti a circa 18 laureati, quando la media comunitaria è di 21,9 laureati ogni mille abitanti. Mentre Germania, Francia e Spagna sono già oltre la media UE.
In termini percentuali, la nostra nazione conta il 18,3% di laureati STEM su mille abitanti, contro il 23% circa di Germania e Spagna e il quasi 30% della Francia.
Un gap che trova origine fin dalle superiori. Anche le competenze in matematica e scienze dei quindicenni italiani appaiono, infatti, leggermente più indietro di quelle dei coetanei francesi, tedeschi e spagnoli. Il punteggio medio dei nostri studenti e studentesse che hanno preso parte ai test OCSE PISA nel 2022 è stato di 474, contro una media superiore (o quasi nel caso spagnolo) a 480 per gli altri paesi.
E anche quando il termine di confronto sono le persone con istruzione terziaria (ISCED) o impiegate in ambito scientifico tecnologico la percentuale italiana delude, non riuscendo neppure ad arrivare al 40% quando la media europea è del 49,2%. Media superata da Germania e Francia e raggiunta dalla Spagna nel 2022. Il tutto si traduce inevitabilmente in minori opportunità lavorative. Questa ridotta attrattività – spiegano gli autori – “è forse frutto della difficoltà del sistema Italia di creare la «cinghia» di trasmissione tra la formazione, la cultura, il mondo delle imprese e degli investimenti necessari per la decarbonizzazione”.
Quello che appare evidente è che esiste una correlazione tra interesse nelle energie rinnovabili, la loro diffusione, la qualità del dibattito pubblico e la formazione (non solo accademica). E che il ritardo accumulato dall’Italia sta creando una sorta di cortocircuito. Ecco perché appare oggi quanto mai necessario riflettere su queste connessioni e trovare un modo per accelerare. Lo studio identifica tre azioni chiave di non immediata attuazione ma essenziali per colmare il gap esistente.
A partire da una maggiore disseminazione dei temi della transizione energetica nel dibattito pubblico e un dialogo costante anche su posizioni contrastanti. Diffondere conoscenza sul mondo delle FER, rendendo questi argomenti costanti e non volatili, aiuta a costruire buone radici culturali, vero volano del cambiamento.
E ancora: è necessario dotare il mondo dell’informazione di strumenti, ricerche e formazione mirata affinché diano risalto a questi temi, facilitandone la diffusione e la comprensione nel grande pubblico. Azione essenziale anche l’impegno a connettere il mondo delle imprese ed i giovani da formare, non soltanto a livello universitario, ma anche nelle Scuole superiori, con l’obiettivo di aiutarli a costruirsi una consapevolezza vera sulle opportunità di un futuro lavorativo nell’ambito delle rinnovabili e della decarbonizzazione.