Il progetto europeo RESTRUCTURE ha progettato e testato un nuovo sistema di storage per l’energia termochimica
(Rinnovabili.it) – Rendere più efficienti i sistemi di accumulo del solare termodinamico. Questo in poche parole lì obiettivo del progetto RESTRUCTURE, iniziativa finanziata dal settimo programma quadro dell’Unione europea
Una delle principali differenze tra solare a concentrazione (CSP) e le altre tecnologie per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili è il potenziale di stoccaggio dell’energia termica integrato nell’impianto. Tutte le centrali solare termodinamiche hanno una certa capacità di immagazzinare il calore per brevi periodi di tempo e quindi hanno una capacità di “buffering” che permette loro di fornire una produzione elettrica pressoché continua. Fra le varie soluzioni disponibili, i sistemi di accumulo termico possono sfruttare lo storage termo-chimico (TCS), che è basato sul rilascio e l’accumulo di energia termica durante le reazioni chimiche.
E’ proprio su questo livello che si è concentrato il lavoro di RESTRUCTURE: i partner hanno studiato e progettato un innovativo reattore/scambiatore di calore per l’immagazzinamento di energia termochimica a ossidoriduzione. Il progetto ha sostituito al “tradizionale” letto fluido di materiale redox ad una struttura monolitica porosa, in tutto o in parte realizzata da composti ossido-riducenti seguendo una trama a nido d’ape.
“La novità del design del reattore [RESTRUCTURE] riguarda l’uso di una struttura ceramica a nido d’ape monolitica come elemento costitutivo, nella quale il materiale attivo può essere incorporato in diversi modi,” spiega il coordinatore del progetto, il dott. George Karagiannakis dalla pagine di Cordis News. “Questa struttura è molto simile ai ‘mattoni’ di ceramica usati nei convertitori catalitici dei veicoli a motore.” Il progetto ha verificato l’innovazione su un impianto di storage su scala da 74 kWh di capacità, costruito e messo in funzione presso il Juelich Solar Tower (STJ), in Germania.
Anche se la capacità di immagazzinamento si è dimostrata relativamente bassa, è stata la prima volta che un concetto di questo tipo è stato validato in condizioni quasi realistiche per applicazioni di immagazzinamento del calore termochimico. “Stiamo cercando modi di continuare le nostre attività di ricerca e di sviluppare ulteriormente la tecnologia”, conferma il dott. Karagiannakis. “In particolare, le strategie di ampliamento e di ottimizzazione sono al centro delle nostre attività future.”