Uno studio di RSE ha calcolato la convenienza degli investimenti in sistemi a pompe di calore in ambito residenziale. 8 interventi ipotizzati e tre scenari: le condizioni attuali e le possibili evoluzioni del prezzo elettrico e dei regimi incentivanti
Articolo in collaborazione con RSE
In quali casi, in Italia, investire in un sistema a pompa di calore rappresenta una buona soluzione per soddisfare i fabbisogni termici di abitazioni e appartamenti? Quali incentivi renderebbero la spesa più conveniente? E quali scenari di prezzi elettrici risultano i più favorevoli per simili interventi di riqualificazione? A rispondere in maniera puntuale a tutte queste domande è oggi uno studio del Gruppo di Ricerca sull’Efficienza Energetica di RSE.
L’analisi, a firma di Marco Borgarello e colleghi, si è focalizzata sull’attuale parco abitativo nazionale con l’obiettivo di valutare la convenienza e la competitività delle pompe di calore (PdC) come soluzione di climatizzazione e non solo in ambito domestico. Il quadro che restituisce fornisce un ottimo spunto di riflessione ai fini del contributo di questa tecnologia alla transizione ecologica in atto.
Pompe di calore in Europa e in Italia: mercato e target
Nel 2022, in buona parte del Vecchio Continente, il mercato delle pompe di calore ha registrato una crescita esponenziale. Complice la crisi energetica e le politiche pro risparmio energetico attuate a livello comunitario, le vendite hanno raggiunto in quell’anno la cifra record di tre milioni di apparecchi. E il Bel paese, forte anche del traino esercitato dal Superbonus 110%, è divenuto il secondo mercato europeo per le PdC: oltre 500mila unità vendute, con un fatturato che ha superato i 3 miliardi di euro (di cui 1 mld relativo alla produzione italiana).
A livello politico l’attenzione verso questa tecnologia è andata oltre la contingenza del periodo. Nella rifusione della Direttiva UE sulle energie rinnovabili (meglio nota come RED III) è stato incluso un capitolo sulle pompe di calore, sottolineandone l’importanza per la produzione di riscaldamento e raffrescamento da fonti rinnovabili e per gli obiettivi climatico-energetici 2030. E inserendo un target preciso: arrivare ad avere entro la fine di questo decennio almeno 30 milioni di unità installate in tutto il Blocco. A titolo di confronto lo stock europeo nel 2022 contava 19.79 milioni di apparecchi attivi.
A dare una mano a questo obiettivo potrebbe essere anche la Direttiva EPBD conosciuta anche come Direttiva Case Green, che prevede una progressiva sostituzione dei sistemi alimentati a fonti fossili con quelli più efficienti e sostenibili. Per vietare definitivamente, a partire dal 1° gennaio 2040, l’installazione di nuovi apparecchi a gas metano e GPL negli edifici residenziali e non residenziali di nuova costruzione.
Una posizione sposata anche nel PNIEC dell’Italia, il Piano Nazionale Integrato Energia Clima. Il testo definitivo, pubblicato a luglio 2024, cita espressamente le PdC tra tutte le soluzioni per la transizione energetica del settore termico, assegnando loro un ruolo strategico nella decarbonizzazione dei consumi energetici in edilizia.
Nel 2023, tuttavia, il settore ha tirato i remi in barca. Il trend europeo ha frenato bruscamente evidenziando una flessione del 6,5%. Il primo calo dopo dieci anni di ininterrotta e progressiva crescita. In Italia le vendite hanno subìto una contrazione del 33%, passando dalle oltre 500mila unità vendute nel 2022 solo 343.800 unità nel 2023. Questo risultato, secondo le analisi dell’European Heat Pump Association, è legato soprattutto al segmento aria-acqua, dove si evidenzia un calo significativo nel residenziale al di sotto di 17 kW. La causa? La fine del generoso regime del 110% e della cessione del credito.
Nonostante la brusca interruzione, gli obiettivi europei ed italiani di decarbonizzazione dei consumi energetici rimangono. E le pompe di calore, anche in soluzioni integrate con altre tecnologie rinnovabili, possono fornire il giusto strumento per ridurre ed elettrificare la domanda di energia residenziale così come richiesto. RSE ha stimato che per raggiungere i target del PNIEC, l’Italia dovrebbe installare entro il 2030 circa 4,5 milioni di PdC come impianto di riscaldamento prevalente, in più rispetto allo scenario “as usual”.
Ma esistono davvero le giuste condizioni economiche per raggiungere un simile traguardo? Investire in sistemi di riscaldamento, di condizionamento e produzione di acqua calda sanitaria basati sulla tecnologia delle PdC è sempre e ovunque la scelta giusta? E, in caso contrario, quali incentivi o prezzi dell’energia elettrica renderebbero conveniente l’installazione di una pompa di calore rispetto alle soluzioni convenzionali?
Per rispondere a queste domande Marco Borgarello, Lorenzo Croci, Francesca Talamo, Ennio Brugnetti, Francesco D’Oria hanno condotto un nuovo studio valutando la competitività economica delle pompe di calore in ambito domestico.
Lo studio di RSE sulle pompe di calore
Il lavoro è partito con la definizione dei casi studio più rappresentativi del parco edilizio italiano. Nel dettaglio l’analisi ha preso in considerazione due tipologie abitative: una casa unifamiliare e un appartamento in un condominio, risalenti in entrambi casi sia al periodo 1960-1980 che agli anni ’90. Con un focus su tre zone climatiche: la zona C (Napoli), D (Roma) ed E (Milano).
Per ciascun caso studio è stato stimato il fabbisogno energetico necessario a garantire il comfort interno e a soddisfare la domanda di acqua calda sanitaria (ACS), e aggiunto il dato sul fabbisogno energetico dei servizi di cottura.
I ricercatori hanno quindi messo a confronto due possibili assetti:
- un’abitazione “tradizionale bifuel” dove si impiega principalmente il gas per i servizi di riscaldamento, ASC e la cottura dei cibi, e in cui la caldaia convenzionale è sostituita con una più efficiente caldaia a condensazione o un sistema ibrido a PdC e caldaia).
- un’abitazione full electric, nella quale tutti i servizi sono alimentati dall’energia elettrica ma con approcci differenti alla riqualificazione:
- sostituzione della caldaia a gas convenzionale con una PdC ad alta temperatura mediante l’uso di radiatori esistenti;
- sostituzione della caldaia con una PdC a media temperatura e sostituzione dei radiatori con i fancoil;
- sostituzione completa dell’impianto di riscaldamento con PdC a bassa temperatura e un sistema di diffusione del calore radiante a pavimento;
- installazione di un impianto fotovoltaico ad integrazione dei tre precedenti casi.
Quanto costa un sistema a pompa di calore?
A partire dalle considerazioni precedenti il team ha analizzato i costi di investimento. Va da sé che i costi complessivi di acquisto e installazione appaiano più alti nell’assetto “full electric” con prezzi che aumentano progressivamente più profondo è l’intervento di riqualificazione.
Per le abitazioni monofamiliari si passa da un minimo di 10.400 euro per l’installazione di una pompa di calore ad alta temperatura in una casa in Zona C costruita negli anni ‘90, ad un massimo di 19.800 euro per l’installazione di una pompa di calore a bassa temperatura e pavimento radiante in una casa in zona E risalente al periodo 1960-1980. L’aggiunta di pannelli solari sul tetto – il cui costo è compreso tra 6.500 e 9.300 euro – incrementa ulteriormente la spesa iniziale
Per i condomini l’investimento nell’assetto full electric può andare da una spesa minima di 10.400 euro per una PdC ad alta temperatura ad un massimo di 17.700 euro per una PdC a bassa temperatura. Indipendentemente dalla vetustà dell’edificio e della zona climatica.
Costi operativi: quanto fa risparmiare una pompa di calore?
Rispetto ad una caldaia a gas convenzionale, gli interventi impiantistici full electric con PdC garantiscono innegabili risparmi in bolletta in ogni caso analizzato. Tali risparmi arrivano fino al 40% nelle abitazioni monofamiliari, salendo al 49%-57% in caso di aggiunta di moduli fotovoltaici. Risparmio energetico che però si dimezza per gli interventi in abitazioni di condominio anni ’90, mentre per gli edifici degli anni 1960-1980 i risparmi sono compresi tra 34 e il 43%.
Quando conviene investire in pompe di calore domestiche?
Per stabilire la convenienza delle pompe di calore rispetto ad altre soluzioni tecnologiche, investimento iniziale e costi operativi devono essere messi a confronto. Nell’analisi influiscono quindi i consumi, i prezzi di elettricità e gas, la spesa manutentiva e anche eventuali incentivi.
Nel dettaglio i ricercatori hanno calcolato il Valore Attuale Netto (VAN) della differenza tra i flussi di cassa di ciascun intervento con PdC con un caso base in cui una caldaia convenzionale utilizzata per riscaldamento e ACS, e una cucina a gas per quelle alimentari. Il tutto usando un orizzonte di 15 anni.
Un VAN superiore a zero indica una convenienza degli interventi rispetto al caso base; un VAN inferiore a 0 un investimento economicamente non vantaggioso.
Il risultato? Ai prezzi energetici di aprile 2024 e considerando i contributi oggi disponibili (ecobonus 65% per i sistemi di riscaldamento, Bonus 50% e Ritiro dedicato per il fotovoltaico) le pompe di calore integrate con un impianto fotovoltaico hanno restituito quasi sempre VAN positivi per le abitazioni monofamiliari.
Nelle abitazioni monofamiliari, in assenza di impianto fotovoltaico, il VAN risulta positivo se si hanno consumi energetici più alti (per ragioni climatiche e/o causa di un basso grado di isolamento). Si può dire che più in generale la convenienza non è assicurata se la domanda annua di gas metano è inferiore a 1.000 m3.
Ecco perché le abitazioni condominiali, che hanno necessariamente fabbisogni energetici inferiori rispetto a quelle monofamiliari, hanno prevalentemente VAN negativi. Anche con tutti gli incentivi oggi a disposizione.
Senza contributi fiscali, invece, quasi nessun intervento impiantistico con PdC risulta conveniente. In altre parole, nell’arco di 15 anni, i risparmi ottenuti in bolletta non sarebbero sufficienti a rendere profittevole l’investimento iniziale in nessuna abitazione.
Rendere le PdC un investimento profittevole: scenari futuri
Ma i prezzi dell’energia non sono immutabili e, secondo quanto riportato nello stesso PNIEC, l’Italia sta riflettendo su come supportare la diffusione delle pompe di calore tramite regimi incentivanti (è in fase di revisione, ad esempio, il Conto Termico).
Ecco perché gli autori hanno gettato uno sguardo anche al “futuro”, cercando di capire con quali prezzi e contributi gli interventi impiantistici oggi non convenienti avrebbero acquistato un VAN positivo.
L’analisi mostra che fermo restando la presenza degli incentivi le abitazioni caratterizzate da un basso fabbisogno energetico raggiungerebbero un VAN positivo in uno scenario di riduzione del costo dell’energia elettrica compreso tra 2 e 6 centesimi di euro il kWh rispetto al 2024. Per la precisione basterebbe una riduzione di 2 centesimi/kWh per installare almeno una soluzione con PdC in un ulteriore milione di case monofamiliari. Meno 6 centesimi/kWh per tirare dentro anche i condomini ed ampliare la platea di interventi ad altri 5 milioni di abitazioni.
In alternativa la convenienza economica potrebbe essere raggiunta garantendo un incentivo fisso da 80-200 euro l’anno.
In questo caso basterebbe un contributo di 80 euro/anno per rendere conveniente un sistema a PdC in circa 4 milioni di abitazioni.