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Strategia Energetica: passi avanti e passi indietro

Finalmente si conoscono i dettagli della tanto attesa Strategia Energetica Nazionale. Ma dal testo emergono limiti che ne frenano la portata innovativa

Anche se manca la versione ufficiale della Strategia Energetica Nazionale (SEN), le bozze in circolazione (un centinaio di pagine) ne consentono una prima valutazione.

Salta subito agli occhi la discrasia fra il richiamo, nella premessa, alla roadmap europea al 2050 e l’orizzonte temporale del documento (2020). Per molti impianti energetici l’intervallo fra la decisione di investire e l’entrata in esercizio è di questo ordine di grandezza. Una considerazione analoga vale per il tempo richiesto per approvare e rendere operative  le misure previste dalla SEN. Otto anni sarebbero quindi un orizzonte troppo limitato, anche se non esistesse il problema di garantire uno sviluppo energetico a lungo termine coerente con la roadmap europea al 2050. Ad esempio, il Regno Unito nella sua strategia energetica del 2011 ha assunto come orizzonte temporale il 2030.

Pur con questo limite, il documento esamina tutti i settori energetici rilevanti e per ciascuno definisce con sufficienze chiarezza quali sono risultati attesi. Riflette quindi in modo adeguato la complessità del panorama energetico nazionale e internazionale, caratteristica in larga misura carente nei vecchi piani energetici.

Un passo avanti rispetto al passato si ha anche nell’indicazione delle misure attuative necessarie; ma spesso la loro definizione non è però abbastanza definita o coerente con gli obiettivi assunti.

Per quanto concerne le rinnovabili, va sottolineato che il tetto posto agli incentivi per quelle elettriche, di fatto coincidente con la somma di quelli del V conto energia e del decreto del luglio scorso sulle altre rinnovabili elettriche, non consentirebbe di portare il loro contributo ai consumi finali da poco meno del 27%, previsto dal PANER, al 38%. Analogamente, non si comprende come si possa innalzare al 20% l’apporto delle rinnovabili termiche, quando per il conto energia termico si prevede a regime un tetto delle incentivazioni di soli 900 milioni di euro all’anno.

E’ infine stridente il contrasto fra l’importanza data al contributo energetico delle biomasse e l’assenza totale di misure per la gestione razionale del patrimonio forestale del nostro paese: in caso contrario, gli ambiziosi obiettivi assegnati alle biomasse non potranno realizzarsi per mancanza a costi accettabili di materia prima qualitativamente e quantitativamente adeguata. Quasi non bastasse, si esclude in modo drastico l’utilizzo del biometano, giudicato troppo costoso, ignorando quanto viceversa prescritto dal Decreto legislativo 28/2011.

Ancora più evidente è l’assenza nelle bozze di SEN di un’analisi dei  possibili conflitti o delle potenziali contraddizioni che possono insorgere fra i diversi obiettivi settoriali. Per ragioni di spazio, mi limito a un solo esempio.

Ridurre nel 2020 del 4%  la domanda complessiva di energia rispetto al  2010 e dal 45% al 36%  la copertura con cicli combinati della domanda elettrica (assunta costante nel decennio) diminuirà significativamente il fabbisogno di gas: in altra parte del documento si propone però un notevole incremento delle infrastrutture di importazione,  per aumentare la sicurezza energetica e diventare un hub europeo del gas. Il secondo obiettivo richiederà prezzi del gas allinearti a quelli europei, e la bozza di SEN indica gli strumenti per arrivarci.  In altre parti del documento i costi di investimento nelle infrastrutture essenziali per garantire nel medio periodo sufficiente capacità di import e di stoccaggio vengono però messe a carico del sistema (in pratica della bolletta del gas), a cui andrà a sommarsi l’incentivazione per lo sviluppo delle rinnovabili termiche. Sono misure di segno contrario all’obiettivo di ridurre i prezzi del gas all’interno del paese, ma la SEN non se ne preoccupa, quindi ignora anche che  costi più elevati del gas si tradurrebbero in costi maggiori del kWh, i quali a loro volta potrebbero impedire in toto o in parte la prevista riduzione dell’import di elettricità (dal 13 al 6%). Se ad esempio si restasse alla percentuale odierna, l’apporto nel 2020 alla domanda dei cicli combinati scenderebbe al 30%, creando una situazione economicamente insostenibile per i produttori interessati, anche se si verificassero tutte le non piccole fuoriuscite di altre tipologie di impianti previste nel documento. Se si volesse evitare il disastro, sarebbero necessarie misure ad hoc, a loro volta destinate a gravare sui costi del kWh; oppure basterebbe un contributo delle rinnovabili molto più basso di quello indicato nel documento (e allora si spiegherebbe l’assenza di strumenti adeguati a garantirne loro sviluppo).

L’assenza di queste e di altre, analoghe analisi su possibili conflitti e contraddizioni si traduce in proposte di obiettivi che possono accontentano gli stakeholder dei singoli settori, ma rendono difficile la loro realizzazione.

LEGGI LA BOZZA DELLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE