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Australia, uno dei maggiori finanziatori del carbone dice basta

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Stop ai prestiti alle miniere australiane di carbone 

(Rinnovabili.it) – La National Australia Bank (NAB), una delle quattro più grandi istituzioni finanziarie australiane, interromperà tutti i nuovi prestiti a supporto dell’estrazione del carbone. Non si tratta di una messa al bando completa degli aiuti alle fonti fossili ma di un primo passo avanti che sembra compiacere gli ambientalisti. “Mentre continueremo a supportare i nostri clienti nel settore minerario ed energetico, compresi quelli con attività già avviate, non finanzieremo più nuovi progetti di estrazione di carbone termico”, si legge nel comunicato stampa diffuso questa mattina.

 

L’intenzione della banca è di creare una sorta di graduale percorso di disinvestment aumentando, di contro, i finanziamenti concessi alle energie rinnovabili. Per questo motivo l’istituto di credito creerà a breve un fondo da 153 milioni di dollari statunitensi per sostenere i progetti energetici verdi, elemento clou di una nuova politica climatica che la NAB svelerà domani nel corso della sua riunione generale annuale a Sydney.

 

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L’annuncio arriva in un momento particolare. Un momento in cui Canberra ha deciso di rilanciare la sua politica fossile anziché tentare di favorire la transizione energetica. Ma se da un lato il Governo australiano immagina un futuro a medio termine dove l’energia fossile abbia la meglio, dall’altro la National Australia Bank e gli altri tre grandi istituti di credito del Paese hanno deciso di optare per un approccio molto più cauto.

 

Le pressioni provenienti da ambientalisti e azionisti, unitamente a condizioni di mercato meno solide rispetto al passato, hanno spinto le maggiori banche australiane a limitare i prestiti finalizzati all’estrazione di carbone fin dal 2015. Anche le risorse destinate alle imprese del settore sono diminuite drasticamente: il finanziamento di corporate e project finance da parte delle quattro grandi banche (ossia NAB, Westpac, ANZ e Commonwealth Bank) si è più che dimezzato, passando dai 3,1 miliardi del 2015 a 1,4 miliardi nel 2016 e solo 99 milioni nella prima metà del 2017.

 

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Gli Istituti individuano nell’Accordo di Parigi e nell’impegno globale al taglio delle emissioni (a cui hanno aderito), il principale fattore dietro la crisi del credito al carbone. Ma va sottolineato come, in tutto questo tempo, siano aumentati parallelamente i finanziamenti al settore del gas e del GNL, etichettati dalle banche (e non solo) come i necessari carburanti di transizione per il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio. E il bilancio complessivo degli aiuti alle fonti fossili non cambia.

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