Attualmente sono stati approvati progetti per nuove centrali energetiche a gas naturale per una capacità complessiva di 70GW
(Rinnovabili.it) – Le centrali a gas naturale sono destinate a diventare economicamente svantaggiose (sia per i produttori che per i consumatori) entro il 2035, eppure gli Stati Uniti sono in procinto investire circa 70 miliardi di dollari su 88 nuovi impianti per una capacità complessiva di quasi 70GW nei prossimi 6 anni e per ulteriori 20GW in un lasso di tempo più lungo: la situazione paradossale è quella descritta da due report del Rocky Mountain Institute (RMI), uno dei più autorevoli centri di ricerca statunitensi in materia d’energia.
Secondo le analisi del RMI, la costruzione del 90% delle 88 nuove centrali a gas attualmente approvate negli Stati Uniti entro il 2035 risulterà più costosa rispetto alla progettazione di impianti misti eolici/fotovoltaici equipaggiati con sistemi di accumulo.
L’abbassamento dei costi delle rinnovabili (calati dell’80% dal 2010 e destinati a scendere ulteriormente nei prossimi 10-20 anni) potrebbe mettere a rischio miliardi di dollari in investimenti sulle nuove centrali a gas, spiegano nei report gli analisti di RMI.
Oltre allo svantaggio economico, il report valuta anche l’impatto ambientale: spostare i capitali indirizzati alla costruzione d’impianti a gas verso le rinnovabili comporterebbe un risparmio nelle emissioni di CO2 pari a 100 milioni di tonnellate ogni anno (circa il 5% dei gas serra attualmente immessi nell’atmosfera dal settore della generazione elettrica negli Stati Uniti).
Alla stessa maniera, il reindirizzamento dei capitali verso fonti sostenibili dovrebbe “pagare” anche per gli utenti finali, per i quali, i report, stimano un risparmio di circa 29 miliardi di dollari entro il 2035.
In un simile scenario, infatti, oltre a quelli sulle centrali a gas risulterebbero svantaggiosi anche gli investimenti in gasdotti e infrastrutture di trasporto: opere per cui, i ricercatori del RMI, stimano investimenti già stanziati di circa 30 miliardi di dollari entro il 2024. Infrastrutture che vedrebbero calare i volumi d’utilizzo (tra il 20% e il 60% nei soli Stati della costa est) e dunque crescere i costi a carico degli utenti per un range compreso tra il 30% e il 140%.
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Negli ultimi 20 anni, il settore del gas naturale è stato usato negli Stati Uniti come un “ponte” per agevolare il passaggio dalle più inquinanti forme di generazione elettrica, come il carbone, a sistemi sostenibili. Il gas naturale, divenuto sempre più economico grazie al ricorso a innovative (ma discusse) tecniche d’estrazione, come il fracking, rappresenta ad oggi il 35% del mix energetico statunitense, contro meno del 20% di solo 20 anni fa.
I due report del RMI parlano di un vero e proprio “punto di non ritorno” per il settore energetico: “Abbiamo raggiunto la fine del ‘ponte’ rappresentato dal gas naturale e ora si profila la chiara opportunità di dare la priorità agli investimenti nell’energia pulita negli Stati Uniti– scrivono i ricercatori del RMI nei report – Il fatto che le energie rinnovabili siano ora la soluzione più economica nel settore energetico degli Stati Uniti, nonostante l’abbondanza di gas naturale a basso costo, evidenzia lo straordinario calo dei costi recenti di eolico, solare e dei sistemi di stoccaggio. Se le tecnologie pulite possono competere con il gas a basso costo negli Stati Uniti, è molto probabile che rappresentino le soluzioni con il minor costo nella maggior parte dei mercati mondiali”.
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