Incontrare l’ing. Starace è un’esperienza intensa e rassicurante allo stesso tempo.
Non capita tutti i giorni, infatti, di confrontarsi con persone che dispongono di competenze così approfondite sulle tecnologie legate alle rinnovabili e, allo stesso tempo, sulle modalità di trasformarle in business. Parliamo infatti dell’Amministratore Delegato di Enel Green Power, la società del Gruppo Enel dedicata allo sviluppo ed alla gestione delle attività di generazione di energia da fonti rinnovabili, e dei suoi stratosferici numeri: 29 miliardi di kWh – praticamente il fabbisogno di 10 milioni di famiglie – prodotti nel 2013 in Europa, Usa e America Latina, grazie a 750 impianti situati in 16 diverse nazioni. Un’Azienda che ha una capacità istallata di 8900 MW suddivisi in un mix di tecnologie green ben calibrato, cioè eolico, solare, idroelettrico, geotermico e biomassa. Insomma numeri da capogiro che rendono questa società, indiscutibilmente, la leader di settore a livello mondiale.
Mauro Spagnolo: parliamo della situazione mondiale sugli investimenti nelle rinnovabili. Dall’ultimo rapporto della Bloomberg New Energy Finance si conferma un 2013 con un trend particolarmente negativo: -11% rispetto al 2012 – ad eccezione del Giappone, unico mercato in crescita – confermando l’allarme del 2012, anno in cui è iniziata la contrazione dopo il picco positivo del 2011. Quali sono le cause di questa sofferenza e quali le contromisure che sta adottando EGP?
Francesco Starace: Credo che dovremmo fare una riflessione attenta su questo rapporto. E’ vero che Bloomberg si riferisce al volume di investimenti mondiale ed è vero che c’è stata una contrazione, per il secondo anno, su questo tema. Se, però, si va a vedere in dettaglio cosa c’è dietro questo dato, si scopre che occorre meno denaro per acquistare gli stessi MW, quindi l’anno precedente, il 2012 e l’inizio 2013, si è registrato un incremento totale di circa 109 mila MW di installato nel periodo a fronte di una riduzione di investimenti di circa 11%, come ha correttamente indicato Bloomberg. Questa apparente contraddizione è dovuta in particolare alla tecnologia solare che ha mostrato una straordinaria capacità di riduzione dei costi: per ottenere gli stessi MW, addirittura un pochino di più, sono stati necessari molti meno quattrini. Questa è una pessima notizia per l’industria, ma ottima dal nostro punto di vista, nel senso che noi possiamo continuare ad ottenere un piano di crescita che è più o meno quello previsto, investendo meno denaro. Si sta verificando l’ipotesi da noi prevista: crescendo la maturità industriale del settore la tecnologia diventa meno costosa e quindi più competitiva.
MS: A conferma di questo andamento mondiale, anche in Italia la contrazione degli investimenti sulle green energy appare in controtendenza rispetto alla crescente quota di energia prodotta da fonte rinnovabile (dal Rapporto statistico Impianti a fonti rinnovabili – GSE – anno 2012) con il 31% di produzione di energia elettrica lorda e il 37% di potenza complessiva istallata.
Valori importanti, praticamente impensabili solo qualche anno fa…
FS: Se il ciclo industriale diventa più competitivo, si può continuare a far crescere il settore con investimenti sempre minori. Attenzione però: questo processo virtuoso non si attua da solo, ma dipende da due elementi sostanziali. Il primo è un continuato e sostenuto investimento in ricerca e sviluppo, pensi che nel 2013 sono stati investiti 22 miliardi di euro in questa direzione, quindi miglioramenti tecnologici e sull’efficienza del MW istallato, il secondo è la scala sempre più globale del settore delle rinnovabili. Grazie a questo processo “globale” oggi qualunque paese, grande o piccolo, trae benefici sul costo delle tecnologie del nostro settore. Un esempio? Il mercato mondiale delle turbine eoliche è 1000 volte più grande di quello italiano e quindi la competizione globale di tutti i fornitori su questo grande mercato alimenta la competitività nelle lavorazioni e nella logistica delle fabbriche con forti ripercussioni anche sul mercato nazionale. E’ un processo che abbiamo già visto, ad esempio, nell’industria automobilistica, forse l’industria globale per eccellenza. Noi avevamo scommesso che la nostra industria di settore uscisse da una fase un po’ pionieristica di avanzamento tecnologico, quasi da laboratorio, e diventasse competitiva a livello globale. Ciò sta avvenendo ed i numeri lo dimostrano. Se oggi in Italia si vuole installare una turbina eolica si ha possibilità di approvvigionarsi su scala globale riuscendo ad ottenere prezzi impensabili 2 o 3 anni fa.
MS: Avete appena completato in Brasile, nei pressi di Bahia, un impianto eolico di 30 MW, primo di tre che verranno a breve realizzati. EGP si conferma molto interessata ai mercati esteri, in particolare quelli del sud America, sviluppando attività in Messico, Costarica, Guatemala, Panama, Cile e, chiaramente, Brasile. L’impressione è che il mercato nazionale, ma anche quello europeo, sia per voi meno interessante. Se ciò è vero: quali sono i motivi e quanto durerà questa tendenza?
FS: Tutte le grandi aziende italiane sono riuscite a diventare tali nel momento in cui hanno messo l’Italia dentro al mondo perché il nostro è un grandissimo paese – ma fisicamente non è poi così grande – e non è pensabile di avere una azienda importante che operi esclusivamente sul mercato italiano in qualsiasi settore. Ad esempio: la moda italiana è diventata importante quando ha esposto se stessa al mondo. Siamo partiti quindi dal presupposto che per fare bene questo mestiere bisogna essere “globali” mantenendo ben chiaro che c’è un know how tecnologico di grandissima competenza che nasce in questo paese e qui rimane.
MS: E gli investimenti in Italia?
FS: Sulla base di quanto appena detto, posso tranquillamente affermare che la nostra Italia, a livello europeo, non stia facendo così male, e la nostra azienda sta continuando a investirci. Concretamente: se si prende il 2013, e si va a vedere che cosa a livello europeo i vari paesi hanno fatto dal punto di vista delle rinnovabili, si scopre che, ad esempio, la Spagna e il Portogallo si sono fermati completamente, la Francia ha continuato a crescere, ma molto poco, la Germania è l’unica che è andata avanti, l’Inghilterra fa attualmente solo offshore. Insomma il resto d’Europa non fa nulla o molto poco. L’Italia, nel suo piccolo e con tutte le complessità che il nostro paese ha e che sono sotto gli occhi di tutti, ha realizzato 500 MW di eolico – e noi abbiamo fatto la nostra parte – ha continuato a installare 2000 MW di solare sui tetti – e anche lì abbiamo dato il nostro contributo – abbiamo noi, da soli, continuato ad investire nella geotermia ad alta entalpia attraverso la realizzazione, in atto, di impianti per 40 MW, mentre lo scorso anno abbiamo messo in esercizio 2 gruppi, ricondizionati, da 20 MW, si è continuato a credere nel minidraulico, dove dopo anni di investimenti si inizia, e lo dico con orgoglio, a raccogliere i primi risultati e infine siamo promotori del capitolo della biomassa distribuita che in Italia, secondo me, può diventare una eccellenza tecnologica e un modello di sviluppo da esportare anche fuori.
Quindi, in realtà, noi abbiamo continuato a investire in Italia, e non poco.
Certo che se lei organizza la partita di calcio Italia contro il resto del mondo sarà difficile vincere. Ci sono zone del pianeta dove la necessità di energia è talmente forte, e la competitività delle risorse naturali talmente preponderante, che noi evidentemente privilegiamo come obiettivi dei nostri investimenti. Ma ricordiamoci che tutte le volte che investiamo lo facciamo portando know how e molte volte portando aziende italiane a lavorare. Un esempio? In Sud Africa. Noi siamo diventati i più grandi operatori di rinnovabili in quel paese con una costellazione di aziende unicamente italiane. Perché in Sud Africa, attualmente, c’è una domanda molto interessante e le aziende italiane hanno un know how estremamente apprezzato.
MS: Recentemente avete siglato un accordo con Legacoop per lo sviluppo di una rete per la microgenerazione a biomassa a filiera corta. Quali potenzialità potrà avere, a suo giudizio, questa tecnologia rispetto alle altre?
FS: Siamo partiti da una valutazione molto semplice: l’agricoltura sta diventando sempre più secondaria all’interno del tessuto sociale del lavoro europeo. Certo ci sono paesi più o meno attenti a questa tendenza, e in questo senso l’Italia si pone a metà, non completamente disattenta, ma non come la Francia che è un’accanita difenditrice del “contadino”. Comunque è un dato di fatto che la percentuale del terreno incolto sia in aumento e che di conseguenza c’è una notevole disponibilità di biomassa abbandonata, spesso anche all’interno degli alvei dei fiumi, che va a costituire un potenziale pericolo per il territorio. La prima osservazione è quindi: c’è abbondante biomassa in giro, la seconda è che traportare biomassa per l’Italia è un lavoro costoso e specialmente poco sostenibile. Quindi abbiamo pensato di realizzare gli impianti vicino a dove si trova la biomassa. Questa decisione transita da un rovesciamento di un paradigma: se lei prende un piccolo impianto inferiore ad un MW, il costo della tecnologia è proibitivo in quanto si tratta praticamente di una piccola centrale termica miniaturizzata. Ogni volta che abbiamo provato in passato a fare questo step, ci siamo bloccati di fronte all’insostenibilità economica di questo modello. Il punto di svolta c’è stato quando ci siamo detti, in modo abbastanza innovativo: se invece di 1 impianto ne facessimo 20-50-200, cosa cambierebbe? In effetti cambia moltissimo.
I produttori iniziano a capire che possono mettere in cantiere un orizzonte di produzione ben più ampio, possono fare delle economie di scala nell’approvvigionamento dei materiali, possono scegliere i fornitori basandosi su diversi volumi e il prezzo scende notevolmente. Abbiamo quindi studiato per circa un anno, per arrivare ad una conclusione: oltre i 50 impianti questo modello è economicamente sostenibile e quindi abbiamo deciso di realizzarne, in una prima fase pilota, almeno 100. Mi auguro che non saremo gli unici e che ci saranno altre aziende che avranno lo stesso approccio. Si tratta di macchine il più possibile standardizzate in quanto è essenziale unificare la loro gestione e la loro manutenzione. Anche le taglie saranno standard fino a quando avremo capito che il modello scelto si autosostiene. La cosa più interessante è che questa intuizione è attualmente sviluppata solo da noi – l’Italia è il primo paese al mondo che inizia a fare questo ragionamento – ma ha tali potenzialità che, una volta verificato il modello su scala nazionale, potrà essere applicato senza problemi in altri paesi. Infatti il problema energetico in contesti agricoli c’è anche in Spagna, c’è anche in Francia su scala di almeno tre volte superiore, c’è in Europa, senza parlare di altri luoghi nel mondo dove il potenziale è praticamente infinito. Quindi se noi, con i nostri fornitori e partner, dimostriamo, come sembra, che questo modello è sostenibile, il modello stesso diventa replicabile potenzialmente dovunque nel mondo.
In questo senso abbiamo costituito una rete di rapporti ben consolidata con Coldiretti, Confagricoltura e Legacoop, ma anche sviluppato accordi di filiera con realtà più piccole che potrebbero, in alcuni casi, essere anche partner interessanti.
Questi rapporti di rete e la definizione di nuovi modelli tecnologici ci rende particolarmente fiduciosi sul futuro della biomassa in Italia. (fine prima parte – la seconda sarà pubblicata il 6 marzo)