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Come trasformare pozzi petroliferi in batterie rinnovabili sotterranee

Un team di ingegneri in California sta studiando come convertire i pozzi inattivi in depositi sotterranei per l'energia pulita, attraverso la tecnologia d'accumulo ad aria compressa. Il primo sito dimostrativo entro questa estate

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Credits: IRAJ ERSHAGHI

La California si prepara a sperimentare le batterie rinnovabili sotterranee

(Rinnovabili.it) – Cosa succede ai pozzi petroliferi una volta esauriti? La risposta, afferma l’Università della California del Sud, è “ben poco”. I proprietari devono sigillarli in maniera sicura, facendosi carico delle operazioni di pulizia e decontaminazione del suolo. Altre volte, i produttori semplicemente se ne vanno, lasciando alle agenzie statali la responsabilità di adottare le necessarie misure di decommissioning. “Nella sola California – spiega l’Ateneo in una nota stampa – vi sono circa 5.540 pozzi ‘orfani’ e 37.000 pozzi inattivi”. Ogni struttura rappresenta, oltre che un rischio ambientale, anche un costo per aziende, amministrazioni e persino cittadini. Ecco perché il team, guidato dal professor Iraj Ershaghi, ha escogitato un modo per trasformare questi elementi in qualcosa di prezioso: batterie rinnovabili sotterranee.

L’obiettivo del gruppo è comprendere se sia fattibile convertire pozzi petroliferi inattivi in sistemi di accumulo sotterraneo per l’energia eolica e fotovoltaica. “È un peccato abbandonare queste perforazioni ad alto costo quando potremmo usarle per qualcosa di cui il paese ha bisogno: lo stoccaggio di energia”, ha affermato Ershaghi. “Ciò avrà un impatto enorme in termini di sicurezza ambientale e autosufficienza energetica. Puoi trasformare un pugno nell’occhio e potenziale problema in un’opportunità”.

Accumulo ad aria compressa

L’idea alla base delle batterie rinnovali sotterranee, prevede di sigillare i serbatoi di idrocarburi con cemento, aggiungendo un sensore nella parte superiore del “tappo” per rilevare eventuali perdite; quindi di sfruttare l’accesso alle falde acquifere saline di minore profondità, tramite la colonna del pozzo.

L’energia prodotta da pannelli solari e turbine eoliche in prossimità di ex campi di idrocarburi verrebbe convertita in aria ad alta pressione da un compressore. Questa a sua volta viaggerebbe verso le falde acquifere saline sotterranee o sabbie umide poco profonde, tra i 300 e i 2500 metri sotto la superficie. L’aria pressurizzata rimarrebbe stoccata a questo livello fino al momento del bisogno, per poi essere rilasciata e produrre elettricità tramite turbine a gas. “Se espandi questo progetto in tutta la California e in altri luoghi, avrai questi enormi siti di stoccaggio geologico a cui potresti accedere in caso di blackout”.

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A livello nazionale, l’Energy Information Administration stima che i produttori petroliferi potrebbero chiedere fino a 15.000 pozzi in California e 300.000 negli Stati Uniti nel prossimo decennio. Sebbene non tutti possano essere utilizzati per la creazione delle batterie rinnovabili sotterranee, una prima stima valuta una capacità di almeno 5 MWh a struttura. Il gruppo grazie anche ad alcune collaborazioni industriali, prevede di avere un sito dimostrativo entro la prossima estate e un documento descrittivo entro l’autunno 2021.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili.it. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.