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Batterie all’acqua di mare, raggiunti i 2.000 cicli

Grazie ad una nuova ricerca della Pohang University of Science and Technology si è trovato un modo per aumentare le prestazioni delle batterie all'acqua marina, aprendo le porte ad una nuova generazione di ricaricabili

Batterie all'acqua di mare
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Nuovi progressi per le batterie all’acqua di mare grazie all’aggiunta di agenti chelanti nel catodo

(Rinnovabili.it) – Sono un derivato della tecnologia d’accumulo a ioni di sodio ma richiedono materiali e design diversi. Parliamo delle batterie all’acqua di mare, una delle new entry nel mondo dello stoccaggio elettrochimico. Alternativa sostenibile ed economica alle più tradizionali ricaricabili a ioni di litio, questi dispositivi impiegano l’acqua marina come elettrolita e un metallo attivo come materiale dell’anodo. Oggi grazie ad una nuova ricerca della Pohang University of Science and Technology, in Corea del Sud, si è trovato un modo per aumentarne le prestazioni, aprendo le porte ad una nuova generazione di ricaricabili.

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Batteria all’acqua di mare, come funziona?

La batteria all’acqua di mare impiega acqua salata come elettrolita e ioni sodio, ioni zinco o ioni magnesio per il trasferimento di carica. E’ composta da una parte anodica, una parte catodica e una membrana selettiva per gli ioni. La parte anodica è generalmente costituita da sodio metallico o altri metallo attivi disciolti nell’acqua marina. Quella catodica da AgCl, PbCl2, CuCl2, altri alogenuri metallici o lo stesso ossigeno disciolto nell’acqua di mare.

Il problema principale di questa tecnologia? La durata ciclica. Gli ioni cloruro presenti nell’acqua marina sono corrosivi. Inoltre la complessa composizione ionica (circa cinque cationi e cinque anioni) rende difficile lo sviluppo di materiali per elettrodi compatibili. 

Vero è che il campo in cui operano i ricercatori è relativamente nuovo. Nonostante la prima batteria all’acqua salata risalga a metà del secolo scorso, il primo dispositivo realizzato era un pila la cui cella pertanto non poteva essere ricaricata. Perché il mondo dell’accumulo iniziasse a fare sul serio con batterie all’acqua di mare secondarie (e quindi ricaricabili) si dovette aspettare il 2014. Da allora diversi studi di settore ne hanno migliorato e rivisto le prestazioni, ma rimangono ancora alcune sfide da superare. Un gruppo di ingegneri della Pohang University ha alzato ulteriormente l’asticella.

La soluzione del PoTech

Il team, guidato dal professor Changshin Jo, è partito dall’impiego di lesacianoferrato di nichel (NiHCF) come materiale catodico di intercalazione per la propria batteria “marina”. Si tratta di un composto facilmente sintetizzabile, economico ed ecologico che si sta ritagliando il proprio spazio nel segmento. Il problema? La sua fabbricazione produce una struttura piena di difetti.

Per risolvere questo problema, il team ha sintetizzato NiHCF con un agente chelante in grado di determinare una notevole differenza nella forma e struttura delle particelle. Il design risultate favorisce le prestazioni elettrochimiche: le batterie ad acqua di mare del gruppo hanno eseguito 2.000 cicli di carica e scarica mantenendo circa il 92,8% della capacità iniziale. I risultati sono stati pubblicati su Chemical Engineering Journal (testo in inglese).

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