Un dossier di Global Energy Monitor fa il punto sui nuovi siti estrattivi aperti in Cina nel 2021 per rispondere alla crisi energetica. Insieme al fabbisogno di carbone delle 169 nuove centrali in costruzione, emetteranno 6 Mt di metano in più ogni anno
Nel 2021, le nuove miniere di carbone hanno emesso 4 t di CH4
(Rinnovabili.it) – La risposta della Cina alla crisi energetica – in gran parte basata sul carbone – sta mettendo seriamente a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici del paese. Pechino infatti ha puntato tutto sull’apertura di nuove miniere di carbone, che hanno rilasciato in atmosfera 2,5 mln di nuove tonnellate di metano, pari a 4 Mt di CO2, cioè le emissioni annuali di 20 centrali a carbone. Se questa è la direzione, vista l’espansione del settore trainata dai nuovi impianti in cantiere, il paese asiatico faticherà non poco a rispettare l’impegno di iniziare il phase out della produzione di questa fonte fossile dal 2025.
Sono i calcoli di Global Energy Monitor, che in un nuovo dossier ha messo insieme le tante tessere di un puzzle – quello del peso del carbone sulla traiettoria climatica cinese – molto complicato da ricostruire. Basandosi su un monitoraggio degli annunci governativi e dei media provinciali, il rapporto fissa a 464 Mt l’aumento di capacità produttiva teorica dalle miniere di carbone avvenuto nel 2021, mentre quello effettivo arriva a 270 Mt. Più della produzione annuale del Sudafrica, il 7° paese al mondo per estrazione di questa fonte fossile.
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Nei prossimi mesi e anni, la situazione delle emissioni locked-in nel settore carbonifero per la Cina diventerà ancora più pesante. Le 169 centrali in pipeline richiederanno infatti altri 559 milioni di tonnellate di carbone l’anno. Il che, a sua volta, si traduce in un aumento delle emissioni di metano di almeno 6 Mt l’anno, calcola Global Energy Monitor: abbastanza per far crescere le emissioni globali di CH4 del 10%.
“L’aumento della capacità estrattiva di carbone previsto dalla Cina è incompatibile con la riduzione della produzione prevista dopo il 2025, anche se la Cina mantiene piani ambiziosi per aumentare la produzione di elettricità pulita e sostiene che la nuova capacità estrattiva non sarà in contrasto con gli impegni sul clima”, scrivono gli autori. Anche perché non è affatto chiaro quanto siano efficaci le misure di mitigazione promesse e, in parte, già attuate.
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“Dal 2020, le valutazioni di impatto ambientale richiedono l’utilizzo del gas metano quando le concentrazioni sono superiori all’8%, ma resta da vedere se il rispetto della normativa funziona”, spiega il dossier. Inoltre, le normative precedenti “non hanno avuto alcun impatto discernibile sulle emissioni” e “non è inoltre chiaro se gli operatori cinesi abbiano adottato misure sistematiche per mitigare le emissioni delle diverse migliaia di miniere chiuse e abbandonate”.