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Il Far West delle fonti fossili: Biden non può dire no a nuovi pozzi negli USA

Mancano strumenti adeguati per fare le valutazioni d’impatto sul clima dei nuovi siti. Ma ci sono quelli per conteggiare i danni previsti. Così si arriva al paradosso: gli Stati Uniti approvano nuove concessioni che costeranno fino a 7 mld in danni climatici

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Nemmeno sulle terre federali il governo sa frenare le fonti fossili

(Rinnovabili.it) – Con una mano gli Stati Uniti frenano le emissioni di petrolio e gas, con l’altra danno l’ok a nuovi siti estrattivi su terre federali negli Stati dell’Ovest. Anche se sanno che costerà miliardi e miliardi di dollari di danni climatici. È ancora strabica e incoerente la politica sulle fonti fossili di Biden: a dispetto di tutte le promesse e i passi avanti di questi primi 10 mesi, l’amministrazione democratica fatica a rallentare la corsa dell’oil&gas in patria.

A inizio 2022, il governo federale potrebbe lanciare una nuova, corposissima tornata di aste per le concessioni di petrolio e gas in gran parte dell’Ovest del paese. Non manca la volontà politica di tirare il freno a mano: mancano gli strumenti legislativi. Lo spiega chiaramente il Bureau of Land Management (Blm), l’ufficio che tra le altre cose controlla le valutazioni di impatto su ambiente e clima.

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Il problema è che il Blm non ha nessuno strumento per distinguere gli impatti delle emissioni prodotte in futuro dai nuovi siti estrattivi da quelle generate in tutto il mondo e da tutte le altre fonti. Per questo non può puntare il dito contro le nuove fonti fossili che sarebbero estratte per il loro impatto climatico e si deve limitare a valutare le ripercussioni su ambiente e biodiversità.

Ma è un’arma spuntata che può colpire solo una frazione delle nuove concessioni. Solo nel caso del Wyoming, dove la valutazione di impatto ambientale ha congelato l’area più vasta tra tutte quelle segnalate in questa nuova tornata (1550 km2), andranno comunque all’asta 725 km2. Tutto questo mentre, paradossalmente, lo stesso Bureau può dimostrare, dati alla mano, che le fonti fossili che saranno estratte avranno un costo sociale previsto tra i 630 milioni e i 7 miliardi di dollari, conteggiando elementi legati al climate change come disastri climatici, perdite di raccolti e problemi di salute.

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Appena insediato alla Casa Bianca, a gennaio di quest’anno, Biden aveva promesso un giro di vite sulle fonti fossili. Il primo obiettivo era stato il fracking, con una moratoria temporanea sulle nuove concessioni sui terreni federali. In questi giorni, alla COP26 di Glasgow, il presidente ha rilanciato insieme all’Unione Europea un’iniziativa globale per ridurre le emissioni di metano.

L’iniziativa sta andando molto bene e raccoglie già le adesioni di oltre 100 paesi che pesano per il 70% del pil globale e per quasi metà delle emissioni di metano mondiali. Proprio ieri Biden aveva annunciato nuove regole, più stringenti, sulle emissioni di CH4 dei siti estrattivi di gas e petrolio negli Stati Uniti. (lm)