Rinnovabili • Embargo sul petrolio russo: UE, stop del 90% entro fine 2022 Rinnovabili • Embargo sul petrolio russo: UE, stop del 90% entro fine 2022

L’UE trova l’accordo per l’embargo sul petrolio russo

L’Ungheria riesce a ottenere tutte le esenzioni e le garanzie che chiedeva. Lo stop al greggio di Mosca è parziale, ma bloccherà subito circa 2/3 dell’export verso l’UE. Entro fine anno la percentuale salirà al 90%. Salta invece la parte di assicurazioni e riassicurazioni

Embargo sul petrolio russo: UE, stop del 90% entro fine 2022
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Cosa prevede l’embargo sul petrolio russo?

(Rinnovabili.it) – Stop a tutto il greggio che arriva via mare e via terra. Entro 6 mesi chiuderanno anche i rubinetti dell’oleodotto Druzhba (Amicizia), ma solo il ramo nord che passa per Polonia e Germania. Quello sud, che collega Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Croazia ha strappato un’esenzione. Nella notte è arrivato l’accordo tra i Ventisette sull’embargo sul petrolio russo, un po’ a sorpresa visto che il veto di Budapest sembrava incrollabile fino a poche ore prima. L’UE prima della guerra importava il 25% del greggio da Mosca.

Cosa prevede l’embargo sul petrolio russo

L’intesa politica c’è, restano ancora da sciogliere alcuni nodi più tecnici su cui però non ci dovrebbero essere problemi di sorta. Né dovrebbero cambiare la sostanza dell’accordo. Che taglia immediatamente circa 2/3 delle importazioni di greggio russo, ovvero tutte quelle che arrivano via terra e via mare. La percentuale salirà poi a “quasi il 90% dell’import dalla Russia entro la fine dell’anno”, ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in conferenza stampa, visto che per quella data Varsavia e Berlino si sono impegnate a fare a meno dell’oleodotto dell’Amicizia.

Proprio questo oleodotto (Druzhba in russo) è stata la pietra d’inciampo per settimane. Alla fine l’Ungheria ha strappato l’ok su tutte le sue richieste. Budapest ha un’esenzione totale: non solo per il petrolio via pipeline, ma anche su quello che decidesse di comprare via terra o via nave. Gli altri paesi serviti dal Druzhba avranno un’esenzione temporanea, ma potrebbe diventare perenne se qualcuno punterà i piedi. L’Ungheria di Orban ha poi ottenuto un meccanismo di tutela: se salta la fornitura russa di greggio per qualsiasi motivo, gli altri paesi UE si impegnano a rifornire Budapest. Altre eccezioni minori sono spuntate per Croazia e Bulgaria.

L’impatto sulla Russia

Pur con tutti questi distinguo, l’embargo sul petrolio russo farà male a Mosca. Prima dell’invasione dell’Ucraina, l’Europa importava dalla Russia 2,2 milioni di barili di petrolio al giorno e 1,2 mln di barili di prodotti raffinati. La quota è già scesa nei primi mesi di conflitto perché molti paesi UE hanno iniziato a diversificare, senza attendere l’embargo sul petrolio russo. Ma l’import è ancora alto.

Dal 24 febbraio, quando l’esercito di Mosca ha attaccato l’Ucraina, le capitali europee hanno versato sui conti russi 29 miliardi di euro per il greggio (contro i 25 per il gas e poco più di 1 per il carbone). Anche con il boom dei prezzi del gas, è il petrolio l’entrata energetica maggiore per la Russia dai mercati europei. La ratio dei proventi di petrolio-gas, infatti, è più o meno di 3:1. In più, all’UE è destinato il 45% dell’export russo di greggio. Non è semplice (né scontato) dirottarlo altrove in tempi brevi, anche con l’ormai tradizionale sconto applicato all’Ural per incoraggiare i compratori (checché ne dica il rappresentante permanente della Russia presso le organizzazioni internazionali con sede a Vienna, Mikhail Ulyanov).

“In questa prima fase di sanzioni ed embargo, la Russia ne trarrà vantaggio, poiché i prezzi più alti significano entrate fiscali significativamente più elevate rispetto agli ultimi anni”, afferma Daria Melnik, analista senior di Rystad Energy. Ma questo pacchetto di sanzioni, così come altre sanzioni energetiche UE, è disegnato per colpire soprattutto nel medio e lungo termine. Gli effetti sui proventi che Mosca usa per sostenere lo sforzo bellico, vista la natura dei mercati energetici globali, sarebbero limitati in ogni caso. Tanto più che il prezzo di break even per il budget di Mosca batte intorno ai 44 dollari al barile (oggi il Brent è a quasi 120, e anche con gli sconti ad aprile la media del prezzo dell’Ural era intorno ai 70 dollari).

Dove sta lo svantaggio per la Russia, allora? “Il riorientamento delle esportazioni verso l’Asia richiederà tempo e massicci investimenti infrastrutturali che, nel medio termine, vedranno la produzione e i ricavi della Russia diminuire precipitosamente”, continua Melnik. Parte della produzione russa potrebbe andare offline e non ripartire mai più, anche per la difficoltà di ricevere parti di ricambio. E così si eroderebbe una quota della spare capacity di Mosca.

“La Russia dovrà affrontare colli di bottiglia infrastrutturali, una domanda incerta e sfide logistiche per esportare petrolio in Asia, diceva a inizio mese al Finalcial Times Maria Shagina, visiting senior fellow presso il Finnish Institute of International Affairs. “La Russia continuerà a vendere petrolio a Cina e India, ma non sarà in grado di compensare completamente la perdita del mercato europeo”.

Scappatoie

Altre misure dell’embargo sul petrolio russo che avrebbero stretto di più il cappio sono saltate o sono state ammorbidite. Non c’è più il divieto per le navi europee di trasportare petrolio russo, mentre è stato rinviato di 6 mesi il divieto di fornire assicurazioni e servizi di riassicurazione per petroliere che trasportano il greggio di Mosca. Sono punti molto importanti: togliere gran parte dei servizi assicurativi alla diponibilità russa significa lasciare il Cremlino senza abbastanza petroliere per soddisfare acquirenti alternativi, ammesso che si palesino. Sarebbe quindi stata una misura che avrebbe stretto “a tenaglia” la Russia, insieme all’embargo vero e proprio.

Secondo alcuni analisti, il Cremlino potrebbe comunque riuscire a piazzare il suo petrolio in Europa sfruttando incertezze europee come queste. Semplicemente facendo una tappa intermedia nel trasporto e mescolandolo con altre qualità di greggio, pratica comune, in modo da mascherare la reale provenienza del carico a un esame del contenuto di zolfo e della densità. Esame impossibile, peraltro, se il greggio arriva dopo la raffinazione come prodotto derivato. Il passaggio sulle assicurazioni avrebbe ridotto (anche se non eliminato) rischi come questo.

Per il momento gli assicuratori europei e statunitensi stanno comunque evitando in gran parte di assicurare navi russe o carichi di greggio russo su navi battenti bandiera diversa. E basterà questa flessione perlomeno a rallentare l’export di Mosca. Nel frattempo, però, assicuratori dei nuovi paesi acquirenti potrebbero colmare almeno in parte la fuga di quelli UE e USA. Ma la coperta resta comunque troppo corta: anche questi soggetti avranno problemi con le riassicurazioni (le assicurazioni stipulate dagli enti assicurativi stessi per tutelarsi), che fanno capo ai grandi player del mercato. Un mercato oggi dominato da soggetti europei e americani.