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Decarbonizzare i settori hard to abate: all’Italia costerà 80 miliardi

L’analisi di 115 soluzioni tecnologiche per la decarbonizzazione di siderurgia, chimica, ceramica, carta vetro e cemento condotta nella prima edizione dell’Osservatorio Zero Carbon Technology Pathways mette un costo alla trasformazione dei settori hard to abate. Ma senza incentivi e cambiamenti del quadro normativo si arriverà solo a -54% emissioni sui livelli del 2020, avverte il rapporto

Decarbonizzare i settori hard to abate: all’Italia costerà 80 miliardi
Foto di Morteza Mohammadi su Unsplash

Il rapporto Energy&Strategy della School of Management del PoliMi

(Rinnovabili.it) – Per decarbonizzare i settori hard to abate della siderurgia, chimica, ceramica, carta, vetro e cemento, l’Italia dovrà spendere tra i 30 e gli 80 miliardi di euro. Una cifra che va suddivisa tra acquisto delle tecnologie abilitanti e i relativi costi operativi. Ma anche se l’industria italiana adotterà il giusto mix di soluzioni, in assenza di provvedimenti normativi addizionali ad hoc, si arriverà a una riduzione emissiva di appena il 54% rispetto al 2020, molto lontano dall’obiettivo net zero.

Lo afferma la prima edizione dell’Osservatorio Zero Carbon Technology Pathways, curato da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, e presentato il 17 gennaio. Alla base del rapporto, l’analisi di 115 soluzioni tecnologiche e una valutazione del loro livello di maturità e del potenziale impatto sul taglio delle emissioni. Di queste, 46 riguardano la decarbonizzazione della produzione energetica e 60 l’uso di vettori energetici. Contemplati anche 9 sistemi CCS (cattura e stoccaggio del carbonio).

Come decarbonizzare i settori hard to abate

Per decarbonizzare i settori hard to abate l’Italia non dovrebbe puntare molto su biocombustibili e CCS, sostiene il rapporto. Filiera complessa, problematiche legate alla fattibilità tecnica e agli aspetti economici rendono queste opzioni meno preferibili. Una priorità, invece, è adeguare le infrastrutture energetiche necessarie per garantire il buon esito dell’abbattimento delle emissioni in questi settori ad alta intensità di carbonio. Serve una rete elettrica stabile, così come una rete del gas che possa trasportare anche gas miscelato a idrogeno.

C’è poi l’importante capitolo incentivi. Che è legato a doppio filo al quadro normativo. Legame che traspare dal sondaggio condotto dagli autori del rapporto tra 400 imprese delle filiere prese in esame. Realizzare interventi risolutivi senza strumenti incentivanti che permettano di ottenere un risparmio sui costi operativi, a fronte di investimenti molto onerosi, risulta “difficile”. Mentre dal confronto con gli operatori emerge un’esigenza di “semplificazione del quadro normativo-regolatorio, attraverso una programmazione di lungo periodo che attribuisca agli obiettivi di decarbonizzazione un’importanza prioritaria e che preveda lo sviluppo di competenze green in azienda”, si legge nel rapporto. Il tipo di compagnie più sensibili a questi temi sono le grandi aziende. E ci sono specificità proprie dei singoli settori. Per chi opera nel metallurgico e nella carta ha particolare rilievo l’aspetto tecnologico. Mentre nella raffinazione hanno più peso gli aspetti organizzativi. E nella chimica la filiera.