Rinnovabili • Costo del greggio: Putin può far schizzare il barile a 380 dollari

Barile a 380 dollari? Possibile. La previsione JP Morgan sul costo del greggio

Gli analisti d JP Morgan credono che la proposta di tetto al petrolio sponsorizzata dagli USA non funzionerà. Invece di limitare le entrate di Mosca, potrebbe spingere il Cremlino a provocare uno shock dei mercati senza precedenti. Senza autoaffondarsi (almeno nel breve termine)

Costo del greggio: Putin può far schizzare il barile a 380 dollari
via depositphotos.com

Il costo del greggio potrebbe triplicare se Mosca taglia 5 mln di barili

(Rinnovabili.it) – Il Cremlino ha ancora diversi assi nella manica da giocare per ribattere a sanzioni e misure punitive adottate dall’Occidente, su tutte il prezzo al petrolio sponsorizzato da Biden. Il più letale è chiudere i rubinetti del petrolio, cosa che potrebbe far schizzare il costo del greggio alla cifra “stratosferica” di 380 dollari al barile. Oggi il Brent è a 111 dollari e dall’inizio della guerra in Ucraina è arrivato al massimo a sfiorare quota 130 dollari: in pratica, il prezzo potrebbe triplicare. Ne sono convinti gli analisti di mercato di JP Morgan osservando la capacità produttiva russa, la carenza di offerta e le difficoltà tecniche nell’aumentare la produzione nel breve periodo.

Contromisure russe

L’argomento parte dalla posizione fiscale di Mosca. Che è ancora solida nonostante embarghi e sanzioni. Il perché è principalmente nell’aumento del costo del greggio e del gas che si è verificato dall’autunno del 2021. Con le sanzioni, il Cremlino riesce a esportare volumi minori di petrolio, prodotti raffinati e gas rispetto al periodo prima dell’invasione dell’Ucraina. Molti paesi occidentali si stanno preparando ad abbandonarlo (l’UE entro i primissimi mesi del 2023, con qualche eccezione) e i mercati asiatici non assorbono tutto il surplus di offerta.

E ciò nonostante, l’aumento dei prezzi ha garantito a Putin entrate in continua espansione. Solo a maggio, i profitti per la Russia sono saliti di 1,7 miliardi di dollari a un totale di circa 20 mld al mese. Una disponibilità economica che lascia margini di manovra al Cremlino. Per cui non sarebbe un suicidio la decisione di diminuire volutamente l’export di petrolio per far schizzare ancora più in alto il costo del greggio. E mettere in difficoltà le economie occidentali, che pagherebbero per prime il prezzo. Una mossa che potrebbe dissuadere molti paesi a dire di sì al tetto al prezzo del petrolio russo proposto da Biden, che funzionerebbe come una specie di “cartello” della domanda per limitare le entrate di Mosca.

Nuovi scossoni al costo del greggio?

Secondo le stime di JP Morgan, se la Russia tagliasse di 3 milioni di barili l’offerta giornaliera il costo del greggio salirebbe a 190 dollari. Mentre se togliesse dai mercati 5 mln di barili, il balzo porterebbe il barile alla cifra mai vista di 380 dollari. Il mercato, infatti, ha poche possibilità di compensare l’offerta aumentando la produzione in altri paesi, inclusi i due membri OPEC che tradizionalmente sono più flessibili, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Senza contare altre diminuzioni improvvise dell’offerta, provocate da conflitti (come in Libia, dove da 3 giorni l’export è sceso di 800mila barili al giorno), uragani o guasti agli impianti.

“Il rischio più ovvio e probabile di un tetto ai prezzi è che la Russia scelga di non partecipare e si vendichi riducendo le esportazioni”, scrivono gli analisti. “È probabile che il governo possa reagire tagliando la produzione per infliggere dolore all’Occidente. La ristrettezza del mercato petrolifero globale è dalla parte della Russia”.