Oggi ci sono circa 2.000 GW di impianti a carbone altamente inquinanti. Secondo la roadmap dell’Iea, per centrare gli 1,5 gradi devono scendere almeno a 1.200 GW nel 2030. La Cina deve lavorare anche sulle centrali domestiche, non solo sui progetti che finanzia all’estero
Il dossier di Transition Zero sulle centrali a carbone
(Rinnovabili.it) – E’ molto difficile che la COP26 riesca a ottenere un accordo globale sul carbone: ancora troppe le divergenze sui tempi del phase out, anche in seno a formati più ristretti come il G7 (dove l’Australia punta i piedi) o il G20 (gli scettici qui sono Cina e India). Eppure bisognerebbe davvero correre per non mancare l’obiettivo di 1,5 gradi. Ma correre quanto? Da qui al 2030, devono chiudere i battenti almeno 3.000 centrali a carbone.
Una corsa sfrenata: significa spegnere più o meno un impianto al giorno, oppure attrezzarlo per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS). I conti li fa Transition Zero a partire dallo scenario per la neutralità climatica elaborato dall’Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, che fissa a poco meno di 1.200 GW la capacità installata massima di centrali a carbone, senza tecnologie per abbattere le emissioni, che ci possiamo permettere di lasciare in funzione a fine decennio. Oggi il totale mondiale di impianti senza CCS supera di poco i 2.000 GW e visto che la stazza media di una unità è 314 MW, il calcolo è presto fatto.
Leggi anche Quanti sono davvero gli investimenti nel carbone all’estero della Cina?
Quanto bisogna accelerare? Uno sguardo al passato recente dimostra che bisogna davvero correre. Tra il 2010 e il 2020, calcola Transition Zero, sono stati dismessi 319 GW di centrali a carbone con un’età media a unità di 38 anni. Anche contando il 2020, quando c’è stata un’accelerazione da record nella chiusura degli impianti, per centrare l’obiettivo di Parigi di 1,5°C bisogna chiudere i siti tre volte più velocemente.
“Chiudere questa quantità di capacità in meno di un decennio sarebbe probabilmente impossibile se non fosse per una nazione: la Cina”, scrivono gli autori del rapporto. Tallone d’Achille del colosso asiatico, il carbone è già stato al centro delle ultime promesse sul clima del presidente Xi Jinping quando ha annunciato lo stop ai finanziamenti al carbone in progetti all’estero. Un passo avanti importante visto il peso specifico di Pechino, che può cancellare 50 mld di dollari di investimenti in una ventina di paesi, di fatto portandoli verso l’abbandono di questa fonte fossile.
Leggi anche Dietro le quinte dei negoziati: come andrà il vertice sul clima di Glasgow?
Ma non è abbastanza, spiega il rapporto. La Cina deve anche fare i compiti a casa: possiede la metà della capacità installata mondiale di centrali a carbone. Inoltre, in cantiere o già approvate con modalità preferenziali ci sono impianti per circa altri 100 GW di capacità installata e solo nel primo semestre 2021 sono andati online altri 5,2 GW. (lm)