L’economia della più celebre delle criptovalute, il Bitcoin, è l’emblema della potenza tecnologica del nuovo millennio, ma sfrutta processi del tutto novecenteschi. Si fonda sul mining, l’estrazione, e consuma enormi quantità di energia. Quali sono gli impatti sull’ambiente della non-moneta sponsorizzata da Elon Musk?
di Matteo Grittani
(Rinnovabili.it) – Cosa c’entrano i Bitcoin (e più in generale le criptovalute), con il climate change? Apparentemente niente: il cambiamento climatico è un fatto troppo concreto, con tutti i suoi tristemente tangibili effetti, dall’aumento della temperatura all’innalzamento di mari e oceani, dalle estinzioni di massa ai fenomeni meteorologici estremi. Il Bitcoin è invece quanto di più astratto e immateriale esista, frutto per eccellenza della contemporaneità gassosa, nemmeno più liquida, in cui siamo immersi. Le ha tutte: è di fatto un prodotto finanziario, è tecnico e può essere capito a fondo solo da tecnici ed è il prodotto di menti raffinatissime e della tecnologia del terzo millennio. Per esistere, tuttavia, sfrutta concetti che hanno invece dominato il millennio precedente: la moneta digitale va infatti creata attraverso il mining, l’estrazione, un processo che necessita di una enorme potenza di calcolo e si serve di un numero elevatissimo di computer che gli utenti mettono spontaneamente a disposizione della rete e della blockchain. Ma se sulla natura del Bitcoin abbiamo discusso nel primo approfondimento di questa serie. Oggi scenderemo più in profondità e andremo ad analizzare gli impatti reali e concretissimi che la più famosa delle criptovalute ha sul sistema energetico e sull’ambiente.
Il consumo energetico del mining
Il processo informatico di generazione di Bitcoin alla base del mining si fonda su un metodo di tipo “trial and error”, traducibile con prova e sbaglia. In sostanza, si tratta dello stesso approccio che impiegano ladri digitali e hacker per rubare le password di utenti, banche o istituzioni. Prima di indovinare la password – o nel caso del Bitcoin, prima che il nonce generi il target hash corretto (ma non ci soffermeremo ulteriormente n.d.r.) – ci possono volere anche, letteralmente, alcuni trilioni di tentativi. Per chiarezza: un trilione sta per un miliardo di miliardi, o meglio ancora”. Per farlo, ci vogliono centinaia di migliaia di computer che operano alla loro piena potenza.
La domanda è: quanto consuma questa enorme macchina attiva 24 ore al giorno, online sette giorni su sette, fatta di minatori fisici e pepite digitali sparsi in ogni parte del globo? Una prima risposta si può dare su ogni singola transazione di Bitcoin, che vale poco più di 700 kWh di energia consumata. Ribadiamo: ogni transazione corrisponde a 700 kWh bruciati. Una cifra paragonabile al consumo totale di elettricità annuo di un cittadino in Marocco, Siria o Zambia. Ma attenzione, le transazioni sono solo un piccolo ingranaggio nel processo di gestione e creazione del Bitcoin. E non stiamo nemmeno tenendo in conto tutta l’energia rimanente necessaria per raffreddare i calcolatori, che disperdono calore in funzione (anche) della loro potenza di calcolo.
Insomma, definire esattamente quanto pesino i Bitcoin sul sistema energetico mondiale non è cosa semplice, viste le tante variabili da considerare- A fare una stima di massima, tuttavia, ci ha pensato un’analisi recente dell’Università di Cambridge. Secondo Michel Rauchs, ricercatore al Cambridge Centre for Alternative Finance, autore dell’analisi, il solo processo di mining consuma ogni anno, oggi, circa 130.27 Terawattora, tanto quanto nazioni intere come Argentina o Svezia. Mettendo insieme Google, Apple, Facebook e Microsoft, tra le compagnie più importanti ed energivore del mondo, non arriveremmo a consumi annui tanto elevati.
Il Bitcoin non è green “per sua natura”: emette CO2 quanto 2.7 miliardi di case
“Il Bitcoin consuma così tanta elettricità per un motivo semplice: la sua natura intrinseca”, spiegava Rauchs. “Non credo che questo meccanismo possa in qualche modo cambiare, a meno che il prezzo della moneta digitale non crolli vertiginosamente”, proseguiva. Si, perché l’obiettivo dei miners è quello di aumentare la loro potenza di calcolo sempre di più per vincere la competizione contro gli altri miners e ottenere altri Bitcoin.
Ma c’è di più: come detto nel primo articolo, la “ricompensa” ai minatori viene dimezzata a ogni ciclo. Ciò significa che, per rendere il mining economicamente sostenibile, gli utenti sono obbligati anno dopo anno a fare più transazioni e ridurre la quantità di elettricità usata. In realtà la tendenza non è quella di ridurre i consumi, bensì quella di scovare e impiegare l’elettricità più economica sul mercato per alimentare computer sempre più veloci ed “energy intensive”, senza ovviamente tenere conto dei fattori ambientali. Tradotto: l’importante per i miners è (e sarà sempre di più, per ragioni intrinseche e legate a come è stato progettato il Bitcoin), avere a disposizione una quota crescente di kWh a prezzi stracciati, senza che a nessuno importi se siano stati generati da fonti rinnovabili o da gas, petrolio e carbone. La crescita dal 2015 al 2021 è stata esponenziale: il consumo di energia per il mining è aumentato addirittura di 62 volte e, secondo i ricercatori dell’Università di Cambridge, una minima parte di essa ha origine rinnovabile. Ma in un sistema termodinamico complesso come la Terra, a flussi di energia generata corrispondono fatalmente anche flussi di energia dispersa, così come prodotti di scarto, in accordo con il Secondo Principio.
Il consumo di elettricità impiegato nella generazione e nelle transazioni dei Bitcoin “pesa” dai 22 ai 22.3 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, secondo un recente studio pubblicato su Joule. È una quantità equivalente a ciò che emettono 2.6-2.7 miliardi di case in un anno, contando ogni consumo possibile, dall’alimentazione degli elettrodomestici al riscaldamento. Ricapitolando: il mondo del Bitcoin, un’entità che non ha una sua concretezza, non possiede fisicità e in ultima analisi, si può dire, non mostra alcun tipo di utilità verso qualcosa o qualcuno se non quella di generare ricchezza a latitudini geografiche e sociali che certo non si trovavano in povertà prima di investirvi, emette una quantità di gas serra paragonabile a quanto emetterebbero le abitazioni di ogni singolo abitante (se ad ognuno ne fosse assegnata una), delle due più popolose nazioni del mondo: l’India e la Cina. Nel prossimo episodio vedremo come e quanto l’economia dei Bitcoin sta stravolgendo assetti e tendenze energetiche avviate: impianti e centrali a carbone e gas in phase-out perché inquinanti stanno “resuscitando” per la fame di energia delle grandi multinazionali del mining, che le rilevano a prezzi stracciati e le rimettono in moto, trasformandole in enormi hub di calcolo con disponibilità potenziali di energia elettrica quasi infinite per i loro fabbisogni.