(Rinnovabili.it) – La giornata di Lunedì 16/09 ha fatto registrare tensioni senza precedenti sui mercati internazionali del petrolio, con il prezzo del Brent che ha raggiunto e brevemente superato la soglia dei 71$ al barile per poi stabilizzarsi a circa 69$. Il WTI ha subito lo stesso trend. Per l’oil-market è il più grave sconvolgimento creato da un evento singolo di natura geopolitica dal Gennaio 1991. Gli inglesi definiscono tecnicamente ciò che è successo con il termine “disruption”, (rottura, stravolgimento). In economia si chiama “Cigno Nero”: un evento macroscopico su scala globale assolutamente imprevisto, che ha effetti sconvolgenti sui mercati e sulla stessa economia. Esempi ne sono la bolla dei mutui subprime scoppiata alla fine del 2006 negli USA, oppure la crisi del debito sovrano in Grecia nel 2015. Ma che è successo esattamente Lunedì?
I fatti
La minicrisi origina in realtà nella notte di Sabato (4.00 a.m. ora locale), quando 20 droni non meglio identificati hanno bombardato con 11 missili il giacimento Khurais e l’impianto di Abqaiq. Si tratta di due complessi petroliferi enormi che gestiscono i 2/3 della produzione saudita, all’interno dei quali il greggio subisce vari processi di pretrattamento prima di essere inviato alle raffinerie. Entrambi di proprietà di Aramco – la compagnia petrolifera controllata dal Governo di Riyad – attraverso di essi passano ogni giorno dai 5 ai 7 milioni di barili destinati ai mercati di tutto il mondo. L’attacco ha messo in crisi in pochi secondi praticamente l’intera produzione: circa 5.7 milioni di barili mancanti al giorno, corrispondenti al 6% del consumo mondiale.
Fonti militari saudite hanno parlato di armi iraniane (missili cruise) utilizzate nell’attacco, ma non hanno identificato ufficialmente come diretta responsabile la Repubblica Islamica guidata dall’Ayatollah Khamenei. Gli Stati Uniti, per bocca e per Tweet del Presidente Donald Trump hanno condannato l’attacco e si dicono “pronti a reagire, se Riad lo chiederà”.
Le conseguenze sui mercati
Bombe esplose e guerre minacciate in nome dell’oro nero. Nulla di nuovo, sembrerebbe. In realtà la novità c’è e sta nella dinamica della risposta dei mercati all’attacco: violentissima e repentina, come mai era stata.
A Londra, all’apertura dei mercati di Lunedì, i futures del Brent hanno segnato un rialzo di 12$ netti nei pochi secondi seguenti l’inizio delle contrattazioni, il più alto in assoluto dal loro lancio nel 1988. L’aumento senza precedenti dei prezzi è partito dalla cifra monstre del +20% di inizio giornata, si è quindi stabilizzato ed ha chiuso con un +9% abbondante rispetto al giorno prima.
Il Brent Crude ha chiuso a 67.68$ al barile ed il WTI Crude a 62.9$, partendo rispettivamente dai poco più di 60$ e dai 54.85$ della chiusura degli scambi di Venerdì. “Non si ricordano un tale shock nell’offerta ed una conseguente risposta nei prezzi di questa entità sul mercato petrolifero”, sostiene Saul Kavonic, analista energetico per Credit Suisse Group AG. Lo stravolgimento dei prezzi in termini percentuali nel brevissimo termine, ha superato addirittura la storica crisi in Kuwait ed Iraq dell’Agosto 1990, seguita allo scoppio della Guerra del Golfo e secondo l’International Energy Agency (IEA), segna perdite nella produzione addirittura più gravi di quelle iraniane nel 1979, in piena Rivoluzione Islamica.
Nella giornata di Martedì, una serie di dichiarazioni ufficiali hanno poi alimentato ulteriormente la volatilità estrema dei prezzi: da una parte i vertici di Aramco, che hanno dichiarato di essere “meno fiduciosi” in merito ad un rapido recupero della piena attività degli impianti e dall’altra l’agenzia Reuters, che cita diverse fonti saudite che assicurano invece il ripristino del 70% della produzione persa nel giro di una settimana ed un ritorno a pieno regime in tre o quattro. I prezzi, dopo alcune ore sulle montagne russe, si sono stabilizzati a fine giornata con il Brent a 64.62$ ed il WTI a poco più di 60$ al barile.
Il prezzo del petrolio e la sicurezza energetica internazionale
La maggior parte degli analisti energetici prevede, anche in caso di rapida risoluzione della situazione un “geopolitical risk premium” – ovvero la quota di rendimento addizionale richiesta dall’investitore, a causa del fatto che l’investimento sostenuto ha un rischio implicito più elevato – di circa 5$ al barile.
Come noto il prezzo del petrolio influenza fortemente ed in certi casi determina direttamente l’andamento degli assets principali del mercato energetico globale, rinnovabili ovviamente incluse. Non solo. Il petrolio è anche una delle più importanti materie prime scambiate – le cosiddette “commodities” – insieme ad oro, rame, grano, cotone, argento, zucchero, gas naturale, caffè e mais. I prezzi delle commodities sono fondamentali ed orientano l’andamento dei mercati finanziari globali. Il Lunedì nero per il settore petrolifero seguito all’attacco agli impianti in Arabia Saudita infatti, ha contagiato gli altri settori dei mercati finanziari globali nel corso della giornata, terminando con la classica impennata del valore dei beni rifugio, come oro ed argento.
La storia ci insegna come le tensioni geopolitiche costanti presenti da decenni in medio-oriente possano determinare in qualsiasi momento uno stravolgimento nella produzione di greggio, e conseguentemente gravi squilibri sui mercati energetici e finanziari. C’è tuttavia anche qui una novità piuttosto rilevante. Ammesso e non concesso che l’Arabia Saudita sia in grado di ripristinare una certa minima produzione nel giro di alcuni giorni, gli attacchi mettono brutalmente in rilievo l’estrema vulnerabilità delle facilities petrolifere dell’esportatore di greggio più importante del mondo. “La fragilità della struttura produttiva saudita, vista storicamente come una delle fonti più stabili di crude al mondo, ha mostrato un nuovo paradigma con cui il mercato dovrà necessariamente fare i conti”, ha sottolineato a Bloomberg Virendra Chauhan, analista di Energy Aspect Ltd.
Allo stesso tempo si rinnovano le preoccupazioni per il sempre più concreto rischio di un conflitto vero e proprio, in una regione che da sola possiede quasi la metà delle riserve globali di oro nero. Insomma, eccolo lì, è ricomparso; è l’antico ed irrisolto fantasma della sicurezza energetica mondiale per un sistema che ancora dipende massimamente dalle fonti di energia fossile, e che quindi è esposto agli stravolgimenti del mercato ed alle tensioni geopolitiche.
Le fonti rinnovabili osservano lo spettacolo, in attesa paziente.