(Rinnovabili.it) – La Corea del Sud potrebbe essere costretta a chiudere un reattore nucleare, o forse più, dopo l’assalto informatico subito a dicembre. L’operatore che gestisce una delle più vecchie centrali del Paese è stato vittima di un furto di dati che potrebbero imbarazzare l’opinione pubblica, già scossa – e mai ripresasi – dal disastro di Fukushima, in Giappone, nel 2011. Le preoccupazioni per l’energia nucleare sono cresciute anche dopo le rivelazioni nel 2012 della messa in funzione di reattori arrivati in Corea con certificati falsi.
Ecco perché il rischio di una chiusura permanente per problemi di sicurezza del reattore Wolsong n. 1 è più di una ipotesi. E l’evento potrebbe causare la serrata a catena di altri reattori obsoleti. Della valutazione si occuperà questo mese un pool di commissari deputati alla stima del rischio nucleare. Il loro giudizio sarà decisivo per le sorti dell’impianto: se si avranno cinque voti contro il riavvio, il reattore sarà chiuso per sempre.
«L’operatore non è riuscito a evitare l’hacking – ha detto Kim Hye-jung, uno dei nove commissari interpellato da Reuters – e non sa nemmeno quanti dati siano trapelati. Se al reattore verrà permesso di continuare a funzionare aumenteranno i rischi: ha completato il suo ciclo di vita previsto, e anche se modificato non è sicuro».
Wolsong n.1, secondo reattore più vecchio in Sud Corea, era già stato chiuso nel 2012 dopo aver raggiunto i 30 anni di vita. La sua sorte è fondamentale per il destino di altri reattori, tra cui il più antico Kori n.1, la cui chiusura è stata spostata al 2017.
L’atomo vale circa un terzo dell’approvvigionamento elettrico della Corea del Sud, e mettere il lucchetto al nucleare significherebbe aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto e carbone, cresciute già nel 2012 dopo alcune chiusure di reattori. A livello climatico potrebbe anche significare un aumento della CO2, rendendo più difficile per Seoul raggiungere il suo obiettivo di riduzione delle emissioni del 30 per cento entro il 2020.