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Nucleare europeo, oltre 90 centrali da pensionare

nucleare europeo(Rinnovabili.it) – Greenpeace presenta il suo rapporto “Lifetime extension of ageing nuclear power plants: entering a new era of risk” (L’estensione della durata di vita delle vecchie centrali nucleari: inizio di una nuova era di rischio) con una protesta in sei Paesi europei. Gli attivisti hanno manifestato ieri in Belgio, Svizzera, Svezia, Francia, Spagna e Paesi Bassi per chiedere all’Unione di fermare i nuovi investimenti sul nucleare europeo e puntare su fonti di energia pulite e sicure come le rinnovabili.

L’associazione sottolinea il rischio di incidenti derivante dalla scelta di tenere in vita impianti obsoleti: i reattori si rovinano con gli anni, perché esiste una correlazione positiva fra invecchiamento dell’impianto e crescita dei pericoli per gli ecosistemi. Dal rapporto emerge che su 151 reattori nucleari operativi in Europa (esclusa la Russia), 67 hanno più di trent’anni, 25 superano i trentacinque e 7 passano i quaranta. Di norma, il ciclo di vita di un reattore sta fra i trenta e i quarant’anni, e intorno all’Italia sono ben 16 quelli attivi che hanno già spento le 30 candeline. Appartengono a otto centrali: quattro francesi, tre svizzere e una slovena. Gli ambientalisti ritengono si tratti di bombe a orologeria proprio sui confini nazionali, da disinnescare quanto prima.

 

Secondo il rapporto infatti è impossibile elevare ai nuovi standard richiesti le centrali costruite troppo tempo fa. Se anche si riuscisse, i costi per le modifiche le renderebbero comunque non competitive sul mercato dell’energia. Altro punto da non trascurare, spiega il fascicolo, è il coinvolgimento del pubblico nelle decisioni che riguardano queste materie: la cittadinanza ha il diritto, secondo le convenzioni di Espoo e Aarhus (1991 e 1998) di partecipare al processo decisionale e di avere accesso agli atti quando sono in ballo scelte sulle materie ambientali.

Gli operatori del nucleare comunque tirano dritto, procedendo su due binari: quello dell’aumento di potenza delle centrali obsolete e, in parallelo, quello degli interventi per estendere la vita dei reattori. Questa scelta, secondo gli esperti che hanno stilato il dossier di Greenpeace, presenta vantaggi economici per chi la persegue, ma rischi concreti per l’ambiente e le persone: aumentare la potenza porta a un accrescimento dell’energia termica prodotta, che significa maggiori emissioni di vapore e liquido di raffreddamento. Tutte cose che provocano un più alto stress a tubature già vecchiotte e ai sistemi di scambio del calore. Se ci si aggiunge che l’installazione di componenti nuove può essere all’origine di malfunzionamenti nei punti in cui queste ultime si innestano su altre più datate, accade che i margini di sicurezza stabiliti in origine divengano insufficienti.

 

Non è finita: infatti molte vecchie centrali sono state costruite senza tener conto di impatti aerei o terremoti. Non basterebbe dunque “aggiornare” soltanto i reattori, perché è necessario considerare anche le strutture esterne, che a seguito di fenomeni atmosferici troppo violenti potrebbero subire danneggiamenti (vedi Fukushima). Fatto non secondario, oggi più che mai, dati gli allarmi sul fronte dei cambiamenti climatici.

Eppure i controlli degli impianti vengono periodicamente fatti. Il problema è che gli stress test dell’Unione europea per determinare la robustezza dei reattori si baserebbero su metodologie che non tengono nella dovuta considerazione il deterioramento causato dal trascorrere degli anni. È troppo scarsa – denunciano gli esperti di Greenpeace – la documentazione disponibile, e il parere scientifico gioca un ruolo eccessivamente pesante rispetto alle possibilità del pubblico di influenzare le decisioni.

 

Il punto è che l’energia nucleare è ancora troppo conveniente. A un rischio sempre più prossimo, suggerisce l’analisi, dovrebbe far seguito l’aumento dei premi delle assicurazioni che coprono i costi di un incidente nucleare, cosa che potrebbe scoraggiare le decisioni di metter mano ai vecchi reattori. Il regime legale odierno, tuttavia, protegge gli operatori del settore attraverso misure che gli addebitano soltanto una responsabilità limitata, scaricandone una quota sulle finanze pubbliche. Così facendo si mantengono artificialmente bassi i costi del rischio, mettendo il nucleare in condizioni di vantaggio competitivo sulle altre tecnologie, costrette a internalizzare completamente quegli stessi oneri.

Il Consiglio europeo del 20 e 21 marzo diventa dunque, per Greenpeace, l’appuntamento cruciale per invertire la rotta e orientare il timone della politica verso l’orizzonte delle rinnovabili. Lo si può fare, spiegano gli ambientalisti, soltanto cambiando le misure contenute nel pacchetto clima-energia 2030 e fissando tetti più alti per il taglio della CO2, il consumo di energie pulite, l’efficienza energetica. Proprio in tema di rinnovabili, Greenpeace è in linea con gran parte del mondo ambientalista, che chiede di fissare un target vincolante del 45%, ben oltre il 27% stabilito dal pacchetto europeo. Non solo, ma propone anche di perseguire l’obiettivo a livello dei singoli Stati e non, come prevede l’Ue, in ambito comunitario.

 

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